La fatalità o forse le strategie della discografia contemporanea “curiosamente” vogliono che in questo ottobre del 2023 si rinnovi la sfida tra
George Lynch e il suo antico sodale
Don Dokken, e in ambedue i casi è quasi inevitabile, per i loro numerosi e fedeli estimatori, nutrire alte aspettative.
Oltre alla pubblicazione quasi contemporanea, un altro aspetto che in qualche modo accomuna questo “
Babylon” a “
Heaven comes down” è che è in entrambe le circostanze l’elemento “divisivo” della questione sia verosimilmente rappresentato dal comparto vocale, e se per il secondo sono le condizioni dell’ugola di
Don a “preoccupare”, nel caso del nuovo albo del
Lynch Mob è la voce della
new entry Gabriel Colón a dover essere “digerita” dai
fans del gruppo.
Il cantante di Porto Rico possiede infatti un timbro abbastanza “singolare” (per semplificare potremmo dire qualcosa tra
Layne Staley,
Josh Todd e
Axl Rose) e parecchio diverso da chi l’ha preceduto e immagino che qualcuno potrà criticare una scelta di questo tipo.
Personalmente la sua prestazione sprezzante e viziosa non mi “disturba” per niente, anche perché si adatta piuttosto bene all’
hard-rock blues ombroso, nervoso e urbano contenuto in un
album che suona “classico” senza apparire troppo conservatore.
Una “specialità della casa”, se vogliamo, e che qui si manifesta attraverso un programma variegato e discretamente coinvolgente, pilotato (ovviamente) dalla chitarra fremente di un musicista sempre molto abile e parecchio ispirato.
Con il fattivo contributo della solida sezione ritmica formata da
Jaron Gulino (Tantric, Heavens Edge) e
Jimmy D’anda (ex-Bulletboys), “
Babylon” irrompe nei sensi degli appassionati del genere con il
groove adescante di “
Erase”, per poi proseguire nell’operazione di soggiogamento grazie all’andamento “stradaiolo” di “
Caught up” e alla splendida ballata psichedelica “
Million miles away”, probabilmente l’apice espressivo di tutto il disco.
“
Time after time”, e ancor di più “
I’m ready”, possono essere tranquillamente considerati riusciti omaggi all’arte immortale dei Van Halen, mentre la tellurica “
How you fall”, nonostante la possanza formale, non convince fino in fondo.
Andiamo meglio con il
funky metropolitano “
Let it go” e con il seducente sviluppo
psych-sleaze di “
Fire master” e a chi apprezza le torbide atmosfere
bluesy non posso che raccomandare “
The synner”, in grado di evocare nella memoria le fugaci gesta dei grandi Dirty White Boy.
Gli effluvi esotici emanati dalla fascinosa
title-track dell’opera contribuiscono ad inebriare l’astante, magari un po’ infastidito dall’eccessiva diluizione del brano, ma di certo consapevole di avere a che fare con un altro buon lavoro targato
Lynch Mob, in grado di non sfigurare nei confronti del glorioso passato della
band e del suo
leader … potremo affermarlo anche di “
qualcun altro”? Mi auguro vivamente di sì, davvero …
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