In un mondo musicale moderno in cui le band centellinano le nuove uscite con il contagocce, la pubblicazione di un nuovo lavoro ad un anno di distanza dal precedente costituisce una piacevole sorpresa. Gli storici deathster
Autopsy – che definirli una delle colonne del genere è riduttivo – non hanno aspettato a lungo per consegnarci il successore di
“Morbidity Triumphant”, al momento in cui scrivo credo che in molti abbiate già ascoltato qualcosa (se non tutto) di
“Ashes, Organs, Blood and Crypts”, decimo figlio partorito in studio dalla band californiana.
Il detto “squadra che vince non si cambia” viene rispettato in pieno: stessa line-up, stessa etichetta (la
Peaceville con la quale si va ben oltre il sodalizio), stesso autore dell’artwork (
Wes Benscoter autore di quasi tutte le copertine dei loro lavori principali dalla reunion ad oggi) che garantiscono quella “rassicurante continuità” che non fa mai male quando si tratta di metter mano al portafoglio.
Pur muovendosi all’interno di coordinate già conosciute agli appassionati e, ovviamente, possedendo numerosi punti di contatto con la discografia degli statunitensi,
“Ashes, Organs, Blood and Crypts” non può esser proprio definito come album fotocopia o copia-incolla.
Impossibile non notare l’approccio punkrockeggiante della song messa in apertura del disco che poi ritroveremo all’interno di
“Ashes, Organs, Blood and Crypts” così come non è possibile non notare la volontà della band di cucirgli addosso una produzione molto meno opprimente e chiusa rispetto al passato, capace di far risaltare i passaggi mesmerici, se non proprio sabbathiani, del duo
Cutler/Coralles.
Questa decima fatica suona molto intrigante, ben amalgamata sia nei suoi episodi più veloci che nei movimenti più lenti e limacciosi talvolta al limite dell’oscuro, restituendoci una band ancora viva, dal cuore pulsante e sanguigno, ben lontana dall’essere una imbolsita parodia di sé stessa.
Oltre alla già citata
“Rabid funeral”, menzioni di merito vanno assegnate anche alla titletrack,
“Well of entrails”, “Lobotomizing gods” dove la band pianta letteralmente il coltello nelle carni.
Non ci resta altro che congratularci ancora con il quartetto che, come il buon vino, migliora col passare degli anni.
Non è ancora stata scritta un'opinione per quest'album! Vuoi essere il primo?
Non è ancora stato scritto nessun commento per quest'album! Vuoi essere il primo?