Questa band è qualcosa di unico, quante volte si è sentito un aggettivo simile; ma questa volta il termine è azzeccato.
La formazione unisce sensibiltà jazz al culto ancestrale della nera fiamma, due stili che mai potrebbero essere più distanti, ed invece no, qui si sublimano.
Questo lavoro, è legato alla terra, al concetto antico, pastorale, contadino della terra, al rito della transumanza; un rito fatto di fatica, impegno e sacrificio ma anche di amore verso gli animali e la montagna.
Io mi ricordo questa transumanza che portava i contadini, i pastori della mia Valle Seriana portare le mucche o le pecore in alta valle verso i pascoli con un silenzio rotto solo dal suono dei campanacci legati al collo di questi animali.
Ora è giusto musicalmente che questa formazione molisana che ha nel cuore quello stesso amore renda omaggio a queste persone che con sudore e fatica danno significato al proprio mestiere.
Con l’apertura come “
La scasata” dove una voce cavernosa ma chiara racconta la vita dura del transumante, ecco che il black metal arcigno, violento, riff della scuola svedese che diventano intricati controtempi come ne “
Transumante”, oppure esplosivi blast beat che convivono tempi più epicheggianti e melodici con screaming alti come nella quarta traccia.
A far da contraltare ci sono brani più acustici, malinconici come nelle due parti di “
Preghiera pagana” o
“I regi tratturi” dove le chitarre classiche fanno da tappeto al canto pulito e pieno di pathos della brava
Alessandra Santovito.
Ma una menzione d’onore va al maestro
Vittorio Sabelli che sa far convivere due anime, i toni graffianti delle chitarre con il clarinetto che in simbiosi colorano le composizioni, una sensibilità veramente eccelsa non solo da musicista ma da persona amante della propria terra, un plauso!
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