In una scena musicale piena di “cover band” non dichiarate, ecco che ne irrompe una che dopo essere nata in tutto e per tutto come tale, prosegue nella sua evidente opera “celebrativa” attraverso una dozzina di brani “nuovi”.
L’oggetto di tanta venerazione sono i Journey e al timone di quest’iniziativa c’è
Hugo Valenti (Valentine, Open Skyz,
Josh Ramos, …) uno dei più autorevoli emuli dell’indimenticato
Steve Perry e quindi almeno dal punto di vista del cristallino spettro vocale sicuramente accreditato per affrontare egregiamente un ruolo tanto impegnativo e “divisivo”.
Eh già, perché la scelta degli
Hugo’s Voyage (devoti fin dal
monicker!) di affidare a questo debutto tutta la loro passione per uno dei sovrani assoluti dell’
AOR, condurrà inevitabilmente a dibattiti e confronti, suddividendo gli appassionati tra favorevoli e contrari.
Una questione abbastanza “complicata”, se vogliamo (una “roba” che in qualche modo mi ricorda le accese dispute sull’analogo rapporto di “dipendenza” tra
Michael White e Kingdom Come da una parte e i Led Zeppelin dall’altra … o volendo, nello stesso ambito, si potrebbero tirare in ballo anche i Greta Van Fleet …), “agevolata” dall’ascolto di “
Inception”, il quale, al di là di ogni altra considerazione razionale, è un disco abbastanza coinvolgente, dove la contrapposizione tra (saltuario) dinamismo e (preponderante) languore sentimentale è sviluppata con una classe e una sensibilità degna di un prototipo tanto fondamentale quanto seminale.
Un solido “cordone ombelicale” che rende il programma molto “familiare” e non per questo fastidiosamente parodistico, nonostante sia alquanto semplice lungo i cinquanta minuti abbondanti dell’opera assistere alla materializzazione di granitiche colonne del suono
adulto denominate “
Escape”, “
Raised on radio” o “
Trial by fire”.
Qualche
déjà entendu un po’ troppo pressante (uno su tutti … “
Don't wanna live without your love”, ennesima riproduzione dell’immortale “
Don’t stop believin’” …) e una “leggerezza” forse eccessiva (per certi versi affine al
Perry solista …) non inficiano gli effetti emotivi di un “viaggio” abbastanza accogliente e suggestivo, che ha in “
Crazy what love can do”, “
A friend like you”, “
How many times”, “
I'll be around”,
“The voyage” e nella struggente
ballad “
When heaven makes an angel” (con un pizzico dei Berlin nell’impasto sonoro …) i suoi momenti maggiormente emozionanti.
Detto che
Robby Hoffman e
Lance Millard, pur bravi ed esperti, non possiedono fatalmente l’inventiva e il carisma di
Neal Schon e
Jonathan Cain, non mi resta che sottopormi (e sottoporvi) all’
amletico quesito conclusivo … meglio una “replica” (seppur competente e sensata) o gli “originali” (tra l’altro “vivi e vegeti”)?
Personalmente propendo per la seconda opzione, e tuttavia considero “
Inception” un disco gradevole e gli
Hugo’s Voyage un progetto artistico non privo di significative potenzialità, soprattutto se in futuro saprà affrancarsi da un unico e riconoscibilissimo modello … e voi da che parte state?
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