Sono abbastanza convinto che se chiedete ai
rockofili della mia generazione in quale epoca avrebbero voluto vivere (in maniera attiva e consapevole …), la risposta sarebbe nel periodo tra la fine degli anni sessanta e i settanta, momento aureo per creatività e ideali (artistici e non …), che vede la nascita e la consacrazione di un suono che assume la forma capace di identificarlo, nelle sue varie sfumature, ancora oggi.
Ora, sebbene attualmente la situazione (politica, sociale, economica, …) sia molto diversa, anche nel 2023 ci sono un sacco di gruppi che sembrano costruiti per farci “credere” che il mondo della musica sia ancora fatto di divertimento, ma anche di idee e sperimentazione, emulando “gente” come Iron Butterfly, Cream, Uriah Heep, Deep Purple e (primi) Scorpions, e illudendoci che là fuori la
trap e l’
urban pop (!) non siano in testa alle classifiche e
AutoTune e
TikTok siano vocaboli privi di significato.
Tra questi abili “illusionisti” si collocano certamente gli
Svartanatt, un quintetto svedese che sembra davvero provenire dal “passato”, quasi si trattasse dei famosi
Argonauti del Tempo di
Wells-iana memoria.
“
Last days on Earth” è infatti un disco che s’ impregna pienamente di fonti sonore illuminate da gloria immortale e lo fa con una tale “purezza” e
feeling da rendere anche il più insistente dei
deja-vu una faccenda “normale” per dei fieri rappresentanti della scena musicale di una cinquantina di anni fa.
E invece la
band in questione si è formata nel 2014 (e testi e titolo dell’opera sono effettivamente intrisi di un “pessimismo” molto contemporaneo …) e quindi “razionalmente” questo aspetto non può che limitarne la personalità
tout court, mentre rimane elevata la credibilità con cui possono attirare l’attenzione di chi, per esempio, apprezza Graveyard, Rival Sons, Dead Lord o Horisont.
E allora iniziamo a porre il selettore della macchina del tempo sul 1969, trovandoci, grazie a “
Demons in the night” in mezzo a una
jam-session tra Rolling Stones, Mountain e Ten Years After, per passare alle fluide e ruvide frenesie di “
Mad stranger” e immergersi con “
The crows” in un pulsante ed evocativo crogiolo sonoro che probabilmente piacerebbe anche a
Ian Anderson.
“
Child of the devil” aggiunge Steppenwolf e The Godz ai plausibili riferimenti degli
Svartanatt, mentre con “
Keep on movin” si affacciano sul proscenio pure Santana e The Allman Brothers Band, raggiunti subito dopo dai The Animals per fornire un’adeguata fonte d’ispirazione alla malinconica “
Children of the sun”.
“
I’m ready” chiama in causa i Deep Purple, “
Time is on your side” i The Who mescolati con i suoni
jingle-jangle delle chitarre, a cui si contrappongono le atmosfere crepuscolari e
sixties di “
Texas dance”.
Dopo il gustoso numero di
boogie-prog “
What you want” e l’avvolgente e vibrante “
Where I belong” (impreziosita da una tromba davvero suggestiva), l’indicatore del fantomatico mezzo di trasporto temporale ritorna a segnare 2023 (quasi 2024, ormai …) e vi ritroverete di nuovo a verificare le notifiche sullo
smartphone, a controllare i
social media e magari a leggere le mie parole su questa rivista virtuale … per fortuna la musica degli
Svartanatt resta a disposizione e l’
illusione creata da “
Last days on Earth” si può replicare a volontà.
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