I
Korgonthurus sono un gruppo finlandese formatosi nel 2000, con all’attivo moltissime pubblicazioni di breve durata come demo, EP e split, a cui si aggiungono quattro full-length:
“Marras” (2009),
“Vuohen siunaus” (2016),
“Kuolleestasyntynyt” (2020) e
“Jumalhaaska”, di cui, di quest'ultimo, uscito il 24 novembre tramite la
Woodcut Records, tratteremo nel nostro articolo.
I
Korgonthurus con
“Marras” proponevano un black metal dalle tinte progressive che si snodava su due uniche tracce dall’elevata durata, dove l’accento era posto sul lato melanconico e disperato, tramite un sound estremamente oscuro, caratterizzato da tempi cadenzati e spazi sonori molto dilatati, richiamanti un po’ alla memoria album come
“A Blaze in the Northern Sky”.
Invece in
“Vuohen siunaus” recuperarono una fiamma nera più prossimale alle sonorità canoniche, con brani maggiormente diretti e dal forte impatto; per poi quattro anni dopo cangiare nuovamente sviluppando e approfondendo il lato melodico, sempre applicato su strutture piuttosto “lineari” e possenti, tuttavia con un occhio nella direzione della modernità che si disvelava tramite alcuni groove.
L'ultima release è nuovamente ancorata a strutture progressive piuttosto lunghe, essendo il platter composto da soli quattro brani per un totale di 55 minuti, in cui i finlandesi miscelano e amalgamano, in un rapporto simbiotico, le correnti nere che avevano caratterizzato, e distanziato, i precedenti lavori, all’interno di un sound rivolto al passato. Un passato a cui fortunatamente sono state tolte alcune ragnatele di troppo, che avrebbero potuto imprigionare la band, in quel ridicolo sentore di parodico anacronismo, dove sovente, alcuni complessi sprofondano.
Non so dirvi molto delle sfere tematiche su cui i
Korgonthurus gravitano in questo nuovo lavoro…ma sono cristallini il dolore, la disperazione, la rabbia e le poste esistenziali su cui vogliono condurci. E lo fanno con abile maestria, tra arpeggi melodici, momenti sospensivi, in cui il cuore ferma i suoi battiti di fronte al palesarsi di baratri insondabili; sfuriate incandescenti tipicamente nere, dove però i quattro demoni non si propongono con ritmiche poste sotto l’esclusivo dominio del blast beat e del tremolo-picking, ma su strutture più misurate e varie, contraddistinte da un cambio di ritmo, mai esasperato, che rientra sempre con una certa regolarità tra gli ingredienti.
“Jumalhaaska” gode di esecuzioni perfette senza tuttavia mai essere fine a sé stesse. Tutto viene sempre sacrificato sull’altare di una suggestione evocativa a tratti epica, melanconica e lancinante.
Senza l’aiuto di particolari effetti, e rimanendo su un sentiero tutto sommato minimale, i
Korgonthurus riescono a creare atmosfere che si intersecano nelle loro progressioni costanti, tramite suite che dopo qualche ascolto palesano la loro straordinaria unitarietà; con un andamento altalenante che ogni volta si riallinea nella direzione di un climax di ascesa che manca sempre di trovare il suo apice.
Viene lasciato l’ascoltatore interdetto, mai sazio, desideroso di proseguire lungo il tracciato oscuro indicato dal gruppo.
"Jumalhaaska" necessita di un ascolto integrale e non frammentario, in uno stato di solitudine contemplativa.
Solo così i nostri occhi chiusi potranno sondarne l’abisso.
Recensione a cura di
DiX88
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