I
Dipygus sono una band californiana formatasi nel 2013, con all’attivo svariati demo, EP e split, e due full-length:
“Deathhooze” (2019) e
“Bushmeat” (2021), a cui segue in questo inizio 2024 l’omonimo
“Dipygus”, rilasciato tramite la
Memento Mori.
Indubbiamente i
Dipygus si rifanno al death metal dei primi
Autopsy, con riff corposi tendenti al doom e svariate ripartenze, su cui si aggiungono alcuni suoni sperimentali come per esempio in
“Огромный Кальмар (Ross Sea Trawler)”, che con le sue sfuriate tendenti al grind si configura tra gli episodi più avvincenti del lotto. Vi trova spazio anche un piccolo intermezzo elettronico nella strumentale
“Bug Sounds II” e altri echi sperimentali sparsi qua e là.
I californiani presentano anche partiture mutuate da altri generi con una certa tendenza al noise, e talvolta inseriscono un certo retrogusto rock, che potrebbe richiamare alla memoria alcuni frangenti di
“Severed Survival” (1989) e
“Mental Funeral” (1991). Tuttavia, purtroppo, nonostante la qualità complessiva non sia male, a mio modo di vedere questi elementi non sono ben coesi tra di loro, come per esempio le varie suite presenti nella progressiva
“Sacral Brain”, che nonostante il lungo e bellissimo solo melodico in essa contenuta, non riesce a sopperire le sue lacune.
Nel complesso, la sensazione, alla fine dell’ascolto di queste dieci tracce, è quella di un leggero disorientamento e della mancanza di una direzione ben precisa.
“Dipygus” è un lavoro leggermente carente di incisività. Salvo qualche buon brano come
“Perverse Termination”, e la già citata
“Огромный Кальмар (Ross Sea Trawler)”, oppure
"Vipers at the Pony Keg", non vi sono molti elementi che catturino a pieno l’attenzione; a partire dai riff, alle partiture di batteria, e in particolar modo dal growl di
Clarisa, impastato e incapace di emergere adeguatamente dal magma sonoro in cui si trova immerso.
Tuttavia, il limite maggiore risiede nelle piaghe di una certa carenza di originalità, poiché i brani nell’insieme riuscirebbero anche a stare in piedi.
Purtroppo l’impressione è quella di trovarsi di fronte ad un disco innocuo, eccessivamente derivativo e un po’ troppo caotico.
Menzione a parte, invece, spetta per la produzione, che risulta di altissima qualità; in grado di far suonare bene tutti gli strumenti, e, in particolar modo, riesce a donare un groove al basso davvero coinvolgente.
Si avverte che i musicisti hanno del talento, e questo anche ascoltando i precedenti lavori…ma purtroppo in questa sede non sono riusciti a dispiegarlo.
Recensione a cura di
DiX88
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