Cosa spinge un musicista a realizzare un Tribute album? Un’assoluta devozione, l’irrefrenabile necessità di confrontarsi con gli artisti che si considera come un riferimento, un modo abbastanza “agevole” per pubblicare un disco o cos’altro?
Normalmente non amo molto questo tipo di progetti, spesso una trascurabile “marchetta” per la quale non ritengo utile spendere dei soldini, ma in questo caso le cose cambiano parecchio: prima di tutto perché il musicista in questione non è un nome affermato che possa in qualche modo cercare di sfruttare l’occasione per raggranellare un po’ di pecunia e in secondo luogo poiché l’approccio all’“omaggio” dei propri modelli pare qui veramente genuino e privo di forzature, confermando, quindi, quanto dichiarato dallo stesso Guido sul suo sito in merito alle aspettative del disco “… far comprendere alla gente la grandezza di una band come i Journey … cercando di ricreare il Journey-sound estrapolandolo da quello che considero il loro periodo migliore …" e poi "… suonare questa musica è sempre un divertimento ed un piacere …”; questo in sintesi è il pensiero del singer milanese.
Affrontare un caposaldo dell’AOR/hard rock melodico tra i più efficaci dell’intero globo terracqueo è un’opzione molto pericolosa (tenendo conto della considerazione che la compagine statunitense gode tra i fans di questi generi musicali), che, oltre all’innegabile passione, denota anche una considerevole convinzione e consapevolezza dei propri mezzi ed, in effetti, l’intonazione vocale di Guido riesce a sopportare il paragone con l’immenso Steve Perry senza sfigurare, riproducendo piuttosto bene sia la timbrica vera e propria (il tono è leggermente più acuto e un po’ meno corposo), sia lo straordinario trasporto interpretativo (e non è un’impresa da sottovalutare), sostenuto da una band abbastanza valida nel tentativo di duplicare quelle partiture che sono ormai entrate di diritto nell’Olimpo del rock adulto, sebbene talvolta sembri mancare un po’ di dinamica (ma ciò forse è anche dovuto ad alcune incertezze di produzione) e qualche “colorazione” musicale in senso generale (ma stiamo parlando di misurarsi con strumentisti del calibro di Cain, Valory, Smith, Schon, innanzi tutto, e poi anche Jackson e Dunbar, quindi diciamo che ci può stare).
Le riproposizioni sono effettuate in maniera alquanto fedele all’originale, concedendosi veramente minime variazioni (ed in questo modo il rispetto nei confronti dei propri “maestri” è completo ed assoluto), semmai si potrebbe discutere sulla scelta delle canzoni (perché trascurare completamente il grande “Frontiers” e non aver dato più spazio a “Departure”, privilegiando, invece, con tre tracce, il più “sbiaditello”, nonostante il successo commerciale, “Raised on radio”?), ma qui si cade nella sfera del gusto personale e vista la gran qualità dell’intera discografia dei Journey, si tratta proprio di “questioni di lana caprina”.
Sempre nell’ambito dello sfizio individuale mi sarebbe piaciuto molto sentire Priori, vista la sua bravura, alle prese con “Keep on runnin’” o con la magistrale “Still they ride”, tratte dal mitico “Escape”, in ogni caso qui ben rappresentato da quattro brani, tra i quali spicca la superlativa “Don’t stop belivin’” eseguita con la dovuta maestria.
Da segnalare come piccola “chicca” del disco è la presenza di “Only the young” tratta dalla soundtrack del film “Vision quest” (conosciuto anche con il nome di “Crazy for you”, classica “americanata” giovanilistica, ma con una discreta colonna sonora, comprendente, tra gli altri, anche R.J. Dio con “Hungry for Heaven”!), recuperabile comunque anche su alcuni dei greatest hits dedicati ai nostri AOR gods.
Speriamo che l’operazione di diffusione della musica dei Journey, uno degli intenti del nostro sorprendente singer, passi anche tramite questo progetto, che personalmente ho trovato molto piacevole (anche per il fatto di aver dovuto rispolverare i loro dischi per un’opportuna “ripassatina” comparativa) e che Guido non si fermi alle pur lodevoli intenzioni di un disco realizzato con gli scopi di cui si parlava in precedenza.
Sarebbe interessante, infatti, sentirlo cimentarsi con qualche composizione inedita, magari sempre alimentata dallo spirito “Journeyano” (e a quanto sembra la cosa potrebbe avverarsi con il progetto My Land insieme al drummer Paolo Morbini o con i Frozen Rain di Kurt Vereecke & Tommy Denander) e poi chissà che Steve Augeri non decida di seguire altre strade … a quel punto tra la ristretta cerchia dei possibili candidati per la sostituzione (tra i quali inserirei Kevin Chalfant, Hugo e pochi altri) potrebbe esserci anche un trentaseienne milanese.
Che ne dici Guido … non sarebbe male no?
Contatti: E-mail:
pierguid@libero.it Web site: www.gpriorijourneytribute.homestead.com
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