Solamente tre i brani contenuti in questo demo dei romani Rachel (esistenti con la formazione attuale dal 2004, nel momento in cui Roberto Franzò e Bob Vallati, reduci dall’esperienza comune negli Eden, incontrano il cantante e tastierista Sandro Manicone, già membro di Lord Brummel e Pavic), ma di sicuro sufficienti per giudicare alquanto positivamente le doti tecnico/compositive del loro metal melodico che si apre ad influenze di A.O.R. tastieristico, in modo da formare un intrigante ed emozionante cocktail musicale.
L’attività live in alcune tribute bands (dedicate, tra gli altri, a Malmsteen e Europe, con questi ultimi parecchio importanti, a livello “formativo”, anche per le composizioni originali) sviluppata in parallelo a questa formazione e le collaborazioni in diversi progetti in studio con altri musicisti, sono, probabilmente, risultate molto utili ai tre laziali per raggiungere questo livello esecutivo così significativo, con l’iniziale “My time” prima dimostrazione delle qualità del gruppo, che in questo caso, si esprimono in un class-metal vaporoso di notevole spessore, dove imperversano la bella voce di Sandro, costruzioni vocali orchestrate con gusto (seppur leggermente perfettibili) e il buon lavoro chitarristico di Roberto.
Con “Year of ’99” ci si sposta sul versante del rock adulto, dall’atmosfera un po’ Journey-esque, con le tastiere in evidenza, una pregevole linea melodica e la solita ottima interpretazione del cantante, sostenuta con sicurezza e contraddistinta anche da una discreta aliquota di personalità.
Molto buona anche la ballata pianistica “All alone”, davvero ben congeniata, con un breve ma importante contributo di chitarra acustica e ancora le vibranti corde vocali di Manicone a dare sfoggio di pathos ed estensione, veramente bravo!
Una registrazione curata e sufficientemente dinamica contribuisce a rendere al meglio le sfumature della proposta dei Rachel, così come la splendida immagine raffigurata sulla copertina dell’essenziale confezione che avvolge il dischetto consente l’appagamento ottico prima ancora di quello uditivo (entrambi gli aspetti sono curati ancora una volta dal talentuoso singer/keyboard player capitolino).
Sebbene, come detto, poco più che tredici minuti di musica permettano di esprimere in modo abbastanza compiuto un’opinione su questa band, è altresì alquanto lampante che un numero maggiore di brani sarebbe stato di sicuro ancora meglio accolto, se non altro per poter verificare (e possibilmente prolungare il “diletto” dell’ascolto) che le buone impressioni ricevute da quanto si è potuto udire possano essere estese a durate superiori.
Il classico “continuate così” mi sembra d’obbligo, anche perché trovare formazioni italiane piuttosto giovani che si rivolgano a questo stile e soprattutto in grado di mettere in campo la padronanza qui intravista, non è un fatto effettivamente così comune.
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