Gli inglesi
Andracca, capitanati dal chitarrista e cantante
Kieran Dawes, si riaffacciano sul mercato con l’ultimo lavoro lungo:
“To Bare the Weight of Death”, tramite la
Vendetta Records, a distanza di circa sei anni dal loro esordio
“Morgulduin”, a cui nel frattempo erano seguiti un paio di singoli e un EP.
Il nuovo lavoro degli
Andracca vede innanzitutto uno spostamento sul fronte dell’ambientazione; mentre il suo predecessore si muoveva su una sceneggiatura mutuata dall’immaginario tolkeninano, qui gli inglesi – se le informazioni che sono riuscito a reperire sono corrette – ci presentano un concept album esistenziale che trasporta l'ascoltatore all’interno di un viaggio profondo attraverso il dolore, la disperazione e l’accettazione della dimensione della mortalità umana.
Sei tracce che passano dalla sofferenza e culminano nella riconciliazione con l’ineluttabilità della falce. Idea ineluttabile che solo dopo la sua accettazione rende possibile la vera affermazione della vita; ed è infatti a questo punto, che la band ci invita, infine, ad abbracciare a pieno l'esistenza.
Musicalmente il gruppo si muove su lidi black metal melodici, con una forte impronta epica all’interno di un telaio piuttosto articolato, capace di protrarre i brani su una durata media di oltre sei minuti.
Nelle trame di chitarra sono presenti molte influenze heavy, a partire dalle tipiche cavalcate fino a culminare in lunghi solos melodici dal gusto smaccatamente 80’s; su tutte mi sentirei di citarvi, a tal proposito,
“Antithesis of Hope”.
I suoni rispetto a
“Morgulduin” sono decisamente migliorati, questo anche, e soprattutto, per merito della produzione più accurata, frutto probabilmente del passaggio alla
Vendetta Records. La quale confeziona un suono leggermente impastato e rétro, ma che tuttavia presenta gli adeguati punti di contatto con i nostri giorni.
In generale, come ho appena accennato,
“To Bare the Weight of Death” è un prodotto migliore del suo predecessore, e lo si nota sia dalla qualità del songwriting che dalla capacità di consegnare all’ascoltatore un numero di momenti entusiasmanti maggiore, oltreché da una coesione di insieme più elevata.
Tuttavia è ancora assente quella spinta in più in grado di poter far scattare la scintilla dell’amore nel blackster più incallito. Gli
Andracca devono lavorare ulteriormente sulla propria identità e sui tratti distintivi delle varie songs, così che ognuna di esse diventi un elemento dell’insieme degno di memoria.
Inoltre necessitano di trovare quella cattiveria efferata che consenta di tagliare a sangue, nei frangenti in cui il verbo nero lo pretenda.
Recensione a cura di
DiX88
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