Finisce un po’ meglio di come era iniziata la trilogia inaugurata da
Christofer Johnsson nell’ormai lontano 2021, nonostante un inaspettato cambio di etichetta (da
Nuclear Blast a
Napalm dopo decenni di collaborazione).
L’introduttiva
“Ninkigal” è davvero promettente e rievoca gli episodi sinfonici più estremi degli svedesi, così come la successiva
“Ruler Of Tamag”, con le sue digressioni folk. Il rifframa di ispirazione 80s caratterizza
“An Unsung Lament” e
“Nummo”, mentre è il prog a ispirare le più ostiche
“Ayahuasca” e
“What Was Lost Shall Be Lost No More”.
Il meglio si apprezza nei brani diretti e con pochi fronzoli (
“Baccanale”, “Midsommarblot”), ma anche la teatrale
“Maleficium” non scherza, e fa il paio con la sinistra e battagliera
“Twilight Of The Gods”, con l’immenso
Mats Levén in grande spolvero. Non mi esprimo su
“Duende”, un azzardo che tenta di coniugare heavy metal e flamenco.
Ma che fine ha fatto l’ambizione di un tempo?
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