Lo ammetto senza remora alcuna: sono in difficoltà. Talmente in difficoltà che, dopo svariati passaggi in cuffia di “
Golden Horses of a Dying Future”, fatico ancora ad inquadrarlo, tanto da aver maturato l’intima convinzione di non averlo capito sino in fondo, e conseguentemente di non averlo apprezzato quanto meriterebbe.
Il voto che leggete in calce, dunque, dev’essere inteso come una sorta di compromesso tra il mio personale (e fallace) gradimento e l’intrinseco valore artistico che ritengo vada attribuito all’ultima fatica dei nostrani
Ignis Absconditus.
E sappiate che il termine “fatica” non è casuale, posto che parliamo di un’opera particolare, destabilizzante ed eccentrica.
Un aiuto alla comprensione viene senza dubbio fornito dall’
artwork di copertina: a prescindere dal fatto che possa piacere o meno lo stile grafico, ci troviamo di fronte ad un dipinto che riesce a fotografare alla perfezione il
feeling surreale, circense e macabro del
platter.
Trattandosi di una recensione, d’altra parte, presumo che anche il sottoscritto debba fornire qualche chiave di lettura per decriptare le coordinate sonore di “
Golden Horses of a Dying Future”…
Proviamo così: immaginate melodie sghembe, atmosfere decadenti,
vocals stentoree, sciamaniche e beffarde al tempo stesso, linee di basso slabbrate e rutilanti, composizioni perennemente in bilico tra tragicità e follia.
Immaginate un’instabile miscela che innesta dosi di
avantgarde e
gothic su una base
dark rock anni ’80, con una lieve, ma gustosa, spruzzatina di
black metal.
Immaginate una
jam session sotto sostanze allucinogene che coinvolga
Christian Death,
Cultus Sanguine, gli
Arcturus di “
La Masquerade Infernale”,
Bauhaus, gli
Ataraxia di “
Paris Spleen” e
Ved Bues Ende… tutto chiaro, no?
Come dite? Non è chiaro per niente?
Che devo dirvi, quantomeno ci ho provato.
Forse la sto facendo più difficile di quanto non sia in realtà; fatto sta che, a causa delle mie mancanze musicali e letterarie, presumo dobbiate confrontarvi con gli
Ignis Absconditus in prima persona.
Sotto tale profilo, peccherei di disonestà se consigliassi “
Golden Horses of a Dying Future” spassionatamente a chicchessia, dal momento che io stesso -da sempre, peraltro, convinto fruitore di compagini dai
sound sperimentali ed astrusi- ho faticato non poco ad entrarci in sintonia.
Sarei, però, tanto miope quanto ingeneroso se non caldeggiassi perlomeno un ascolto: in mezzo ai tanti
album-fotocopia che ingolfano il mercato, avrete perlomeno concesso un po’ del vostro tempo ad una compagine originale e coraggiosa.
Cari
Ignis Absconditus: mi avete fatto tribolare, ma vi faccio i miei sinceri complimenti.
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