Fare la conoscenza di una formazione musicale grazie all'ultima parte di una trilogia discografica legata da un comune filo concettuale, non è probabilmente il modo migliore per comprendere pienamente la sua statura espressiva, ma, mentre mi appresto a recuperare i due capitoli precedenti dell’opera, mi preme segnalare ai nostri lettori il notevole valore dei
Final Coil, già piuttosto evidente fin dal solo ascolto di questo “
The world we inherited”.
Ispirata da un’intensa, decadente e apocalittica vena poetica (che induce il gruppo a citare la profetica narrativa distopica di
George Orwell), la proposta sonora dei britannici appare come un’ideale anello di congiunzione tra
dark-wave,
gothic metal e
grunge, in cui il tribalismo ritmico e le grevi ed oscure pulsazioni soniche costruiscono un fondamento melodico inquietante e avvolgente (degno della maestria di Killing Joke e Sisters Of Mercy), su cui s’innestano una torbida e viscerale energia propulsiva (alla maniera di Tool e Alice In Chains) e una serie di arabeschi visionari e surreali (figli degli immortali Pink Floyd).
Da consigliare, dunque, anche a chi apprezza, per esempio, Katatonia, Amplifier e (primi) Warrior Soul, i
Final Coil si rivelano credibili ed efficaci esegeti di un cupo e tormentato affresco esistenziale, privo, però, del morboso narcisismo che contraddistingue tanti frequentatori del medesimo settore artistico.
In questo calderone di passione, terrore, confusione e barlumi di speranza, l’apertura delle “ostilità” è affidata ad una spettrale e catartica
title-track, a cui fanno seguito il
blues feroce e cibernetico “
Wires” e la devastante e ossessiva litania di “
Chemtrails”, a costituire un trittico perfetto per entrare in sintonia con l'angosciato universo sonoro del quartetto inglese.
Un cosmo che diventa amniotico e solenne in “
By starlight”, si espande attraverso le distese siderali in “
The growing shadows” e “
Purify”, per poi indugiare nel magnetismo gelido di certa
synth-wave con “
Stay with me”.
C’è ancora spazio per lo strumentale obliquo e vagamente esotico “
Out of sorts”, il quale si schiude nella tensione palpabile che alimenta il grumo di rabbia e piombo denominato “
Humanity”, a cui si aggiunge infine “
End of history”, il brano più aderente alla filosofia
dark-metal dell’intera raccolta, tra
spleen e drammatici scenari crepuscolari.
“
The world we inherited” suscita emozioni forti, inquieta e fa riflettere … il
pathos che trasmette a tratti può forse rischiare di apparire appena troppo celebrativo e reiterato, ma sinceramente credo che i nostri tempi travagliati abbiano ancora bisogno di dischi come questo.
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