Ci sono dei momenti in cui una persona che ascolta metal da un po’ di tempo, specialmente se musicista, si perde nel romantico ma desolante ricordo della scena italiana dei primi anni ’90, dove validissime band come Death SS, Bulldozer, Sadist, Novembre etc. cercavano di uscire disperatamente allo scoperto venendo spesso ostacolate da strutture indecenti, studi di registrazione ben al di sotto della sufficienza ed un indifferenza generale veramente frustrante: tutta questa lunga introduzione per dire che non posso fare a meno di essere fiero di una scena che nel corso degli anni, seppur subissata da polemiche senza fine ed infantili faide interne, è riuscita a generare band validissime ed assolutamente competitive come i Node, freschi autori di un disco che solo cinque anni fa sarebbe stato impensabile da ottenere per una band nata nella nostra penisola. Bando alle nostalgie, “Sweatshops” merita ben di più di uno sbiadito “amarcord”, anzi, posso fin d’ora affermare di trovarmi di fronte ad una delle uscite più convincenti degli ultimi tempi. I Node, lontani dal mercato sin da “Technical Crime”, se si esclude la recente raccolta “Sterilized”, sono certamente maturati e cambiati profondamente pur senza snaturarsi. L’uscita dal gruppo di Steve Minelli (ex Death SS) ha portato finalmente l’attenzione generale sulla band nella sua interezza, che in precedenza aveva rischiato di essere offuscata dalla figura del suo leader carismatico, ed il recente deal con la Scarlet ha dato l’opportunità al gruppo di potersi avvalere di strutture promozionali ed economiche finalmente competitive; i Node del 2002 sono un gruppo composto da quattro personalità decisamente bilanciate, ed è facile notare questa situazione di maggior collaborazione ascoltando un disco non più orientato verso sterili virtuosismii, bensì monolitico, compatto ed aggressivo. I punti di riferimento più ovvi sono di certo gli ultimi Carcass, gli At The Gates ed i Death, soprattutto per ciò che concerne il ritmato riffing e l’approccio vocale di Daniel Botti, che spesso si trova a pagare più di un semplice tributo a Chuck Schuldiner ed a “Tompa”. Fortunatamente la band lombarda filtra queste influenze attraverso il proprio riconoscibilissimo stile, dando vita ad ottime song come “Jerry Mander”, “Last Doctor” e soprattutto l’eccellente “Thanathophobia”, uno dei brani più convincenti che mi sia capitato di sentire in questi ultimi mesi. Notevoli anche gli sporadici interventi vocali di Gary D’Eramo, decisamente personali e ben costruiti. La strepitosa produzione che rende “Sweatshops” ancora più potente porta la firma del metal-guru Pelle Saether, mastermind degli ottimi Underground studios (Carnal Forge, Necrodeath, Terror 2000 etc.) mentre l’affascinate artwork risulta curato dal richiestissimo Carlos Del Olmo (ex-Soilwork). Come si suol dire: non ci dovrebbe essere bisogno di alcuna presentazione viste queste premesse. Vivi complimenti quindi ai Node, che in questo momento iniziano a godere di ottimi apprezzamenti anche all’estero (“Sweatshops” è stato recensito con 8 sull’autorevole magazine tedesco Rock Hard), ed un suggerimento per chiunque stia leggendo questa recensione: fate vostro questo disco, non ve ne pentirete!
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