Si sapeva che il primo album di inediti senza
David Longdon sarebbe stato un disco difficile e i
Big Big Train hanno preso tutte le precauzioni del caso, dal reclutamento dell’ottimo
Alberto Bravin - per un breve periodo in forza alla
Premiata Forneria Marconi - al sodalizio (inaspettato) con il colosso del prog contemporaneo
InsideOut Music dopo anni di gratificante autoproduzione.
Il risultato è un lavoro convincente ma privo di sorprese, ricco di passaggi avvolgenti, bucolici e sinfonici, molto
british nello sviluppo tipicamente progressivo (
“Light Left In The Day”).
“Oblivion” sfoggia timbriche abbastanza grintose per gli standard degli inglesi, mentre la successiva
“Beneath The Masts” è l’immancabile suite dove l’influenza dei Genesis dei primi anni Settanta è difficile da nascondere, nonostante l’intermezzo che strizza l’occhio alla musica hard & heavy.
Se
“Skates On” spicca per gli intrecci vocali, in
“Miramare” e in
“Love Is The Light” emerge il gusto pop del collettivo, che non disdegna passaggi dai toni drammatici ispirati al prog nostrano.
“Bookmarks” sembra provenire direttamente dalle
session di
“The Lamb Lies Down On Broadway”, prima di
“Last Eleven”, un commiato frizzante e dinamico che lascia il segno con la sua coda dal carattere epico.
Impossibile chiedere di più dopo oltre trent’anni di onorata carriera.
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