Copertina 8

Info

Genere:Heavy Metal
Anno di uscita:2024
Durata:52 min.
Etichetta:Sony Music

Tracklist

  1. PANIC ATTACK
  2. THE SERPENT AND THE KING
  3. INVINCIBLE SHIELD
  4. DEVIL IN DISGUISE
  5. GATES OF HELL
  6. CROWN OF HORNS
  7. AS GOD IS MY WITNESS
  8. TRIAL BY FIRE
  9. ESCAPE FROM REALITY
  10. SONS OF THUNDER
  11. GIANTS IN THE SKY

Line up

  • Rob Halford: vocals
  • Glenn Tipton: guitars
  • Richie Faulkner: guitars
  • Ian Hill: bass
  • Scott Travis: drums

Voto medio utenti

INTRO
Cresciuti in una Birmingham post bellica con pochi soldi, il fumo delle fabbriche e la musica di Hendrix, Clapton e John Mayall, cinque ragazzi mettono su una band e, nel 1974 sotto il nome di Judas Priest, esordiscono con il non memorabile Rocka Rolla. Poco male, di lì a poco scriveranno la storia creando, caratterizzando e diffondendo nel mondo quello che tutti oggi conosciamo come heavy metal.

Flash forward di 50 anni.

Il fumo in città è creato dallo svapo delle sigarette elettroniche, la musica è immateriale e ha il valore di una promessa non mantenuta, la gente si muove in monopattino elettrico, nessuno ha opinioni o può dire cosa pensa perché nessuno è in grado di formulare un pensiero compiuto e tutti si offendono.
Cinquant’anni dopo, quella band è ancora qui.
Certo, nel frattempo si sono avvicendati musicisti, ci sono stati periodi alti e bassi, la società è cambiata, il mondo è cambiato.
Ma i Judas Priest sono ancora qui.
Il bello è che non sono qui per tirare a campare, sono qui per spaccare il culo. Ancora una volta, forse l’ultima.
DUE CHIACCHIERE
Lo so, lo so, sono tra quelli che pensavano che tutto sarebbe dovuto terminare con il precedente e ottimo Firepower: un’ideale chiusura del cerchio, la fine gloriosa di una carriera leggendaria che sfuma verso l’orizzonte sulle note di "Sea of Red". Bellissimo.
È anche vero che, ancora prima, i JP avevano intrapreso il tour d'addio senza un membro fondatore per poi rimangiarsi tutto e continuare a suonare e registrare.
Già, ma se si fossero fermati davvero oggi non avremmo potuto godere di questa bomba sonica chiamata Invincible Shield.
-Tra poco ci arrivo, portate pazienza, abbiamo subito oltre un anno di promozione, che volete che siano due righe che leggiamo io e il correttore automatico.-

Come diceva Antonio Lubrano di Scampamorte, alcune domande sorgono spontanee:
“Ehi, era proprio necessario questo disco, questo diciannovesimo album in studio?”.
No, certo che non lo era, però c'è. Eviterei di commettere l'errore di non ascoltarlo per partito preso, magari perché eravate convinti che avrebbero smesso, oppure perché tifate KK.

“È vero che si tratta di semplice fan-service ed è un disco con una sincerità musicale quasi nulla?”.
Probabilmente sì. Il lato true, però, non lo pretendo più di tanto da chi ha inventato questo genere, da chi è soprannominato “The Metal God”. Penso che il loro credo sia stato ampiamente dimostrato in cinquant’anni di storia e questo nuovo album è l’ennesima testimonianza dell’amore per questa musica. È proprio qui, davanti al nostro naso. Ah, dico spesso che i Judas hanno inventato l'heavy metal perché lo penso davvero: per suoni, iconografia e attitudine sono stati i primi. E Tony Iommi? Beh, lui è il padre supremo di TUTTO, sopra ogni cosa.
Se i Priest vanno avanti oggi è per la ventata d’aria fresca che ha portato Richie Faulkner nel gruppo, la sua bravura, la dedizione alla band di cui è sempre stato fan e in cui suona da oltre dieci anni. Vanno avanti perché Rob è uno che si è messo sempre alla prova, accetta le sfide, magari le perde anche (Fight, Two), è uno che ha bisogno di esprimersi e… cazzo, è il simbolo vivente di un intero genere, lui non può mollare!

“Largo ai giovani. Basta con questi vecchiacci! Dovrebbero ritirarsi, hanno già dato”.
I Priest oggi vanno avanti perché non sanno fare altro, non sanno farne a meno.
La grossa differenza tra loro e altri dinosauri musicali è che i Judas in studio ci sanno ancora fare alla grande e sul palco se la cavano. Con mestiere, ok, ma se la cavano. Per quanto alcuni membri siano ultrasettantenni non sono da ricovero e lo dimostrano ulteriormente con questo fottuto disco. Stesso discorso per i loro amici Saxon. Di molti altri rottami ambulanti avrei parecchio da dire, ma non è questo il giorno (cit.)

Invincible Shield non è un caso, anche Firepower è un grande album e perfino Redeemer of Souls lo sarebbe stato se solo avesse potuto beneficiare di un produttore come Andy Sneap.
Già, Sneap. Andy è un altro dei motivi per cui i Priest sono ancora qui oggi. Un produttore grandioso -non sempre, l’ho pure criticato qualche volta- che con questi vecchiacci inglesi ha eseguito un lavoro magistrale tirando fuori suoni potenti, chirurgici, sapendoli però amalgamare a dovere e riuscendo a fare una cosa fondamentale: gestire le capacità e le personalità dei componenti. Rob ha 72 anni e su questo nuovo disco ci regala una prestazione CLAMOROSA, qualcosa che non potrà mai replicare dal vivo, lo so bene. Intanto però ce l'ha fatta, la sua voce è nei solchi di Invincible Shield, indelebile, e ha potuto raggiungere questo risultato perché ha lavorato con qualcuno che sa fare il suo mestiere alla grande. Sneap è poi riuscito ad estrarre da Tipton qualche goccia della sua classe, del suo marchio di fabbrica e inserirlo nelle trame di questo disco nonostante la sua malattia, nonostante oggi sia molto limitato. Diciamo che Glenn ha consigliato, spalleggiato, completato e interagito con le idee di Richie. Travis è poi un motore che beve cherosene e caga doppiacassa, una piovra (Racer X), un mostro che però va saputo gestire. E Hill... è lì in un angolo coperto di polvere perché c’è sempre stato, forse se lo sono perfino dimenticati o lo tengono perché non dà fastidio. Scherzo ovviamente, anche quel reperto archeologico di Ian consolida le basi del sound.

E quindi siamo qui, tra un songwriting ispirato e ottime capacità nello sfruttare il lavoro in studio, a godere di una colata di metallo chiamata Invincible Shield.
IL DISCO
Ho affrontato l’ascolto vergine, in cuffia, senza aspettative e senza tendere l'orecchio verso nessuno dei numerosi singoli o delle tante anticipazioni rilasciate negli ultimi mesi. Un lunghissimo ed odioso periodo promozionale come purtroppo è di moda in questi tempi moderni del cazzo.
E questo, sappiatelo, fa tutta la differenza del mondo.

La totalità della musica e dei testi sono accreditati a Richie Faulkner, Glenn Tipton, Rob Halford in egual misura e quello che troviamo su Invincible Shield sono brani vari e ispirati, con melodie che funzionano e che vengono sfruttate nel modo migliore attraverso canzoni che spaziano da up-tempo a mid-tempo, passando anche per brani veloci con doppia cassa a tappeto e lampi di classe che solo i grandi possono permettersi. E quanta energia c'è qua dentro!
Durante l’ascolto si ha la sensazione che saltuariamente venga recuperato un fraseggio già sentito da qualche altra parte, oppure che la costruzione di un particolare brano ripercorra quasi la struttura di un altra canzone facente parte del passato della band, non per forza remoto. Ad esempio su Invincible Shield ho trovato pezzi simili (per intelaiatura, non per le note suonate) a "Valhalla" o "Cold Blooded" presenti su Redeemer of Souls, ma che ora rendono infinitamente meglio e colpiscono nel segno. Potenza, malinconia, solennità si succedono nelle diverse composizioni, ognuna con la propria personalità ma con l’impronta del Prete di Giuda impressa a fuoco. Su questo album non ho trovato nulla di rivoluzionario, nessuna soluzione sorprendente ma tutto è stato egregiamente suonato, arrangiato e interpretato alla perfezione. Il riffing è ispirato e costantemente cesellato e impreziosito da piccoli cambiamenti, da linee sovrapposte, e non semplicemente portato avanti tal quale. Sono poi deliziosi e appassionati gli assoli che riprendono spesso la melodia portante della canzone in cui sono inseriti e riescono a elevarla. Una cosa che adoro. Sbalorditivo è il cantato di Rob che interpreta i testi ora con ferocia, ora con imponenza oppure con introspezione e maestosità, senza mai osare più del dovuto, senza avvalersi di effetti fastidiosi come riverberi, filtri o artifici che potrebbero rendere la sua performance meccanica o falsata. La naturalezza del suo cantato è sconcertante. Certamente le sue linee sono state processate, ritoccate e “aiutate” per compensare i suoi limiti odierni, ma non si avverte. E va bene così.
TRAK BY TRACK
L’apertura con "Panic Attack" è indovinata, con una squisita parte iniziale che vede unirsi sintetizzatori e chitarre dal sapore anni ’80, prima di buttare un riff classic metal al 100% con frustate di energia che divampano. "The Serpent and the King" sorprende per il suo tempo veloce, il riffing hard rock e un Rob sicuro su diversi registri, anche altissimo ma sempre efficace. L'estasi arriva verso il secondo minuto con un cambio di passo che mi fa volare nell’iperspazio e bestemmiare di gioia mentre salto sulla sedia. Ho notato anche un vago sapore Megadeth nel bridge. La title track mi ha poi meravigliato per la sua energia, con quel tappeto di doppia cassa e quel riffing abrasivo di Riccardino, mentre i Kleenex si sprecano nella variazione, con una prestazione di Rob ancora una volta fuori dal mondo e un assolo orgasmico. A questo punto dell'ascolto mi viene da sorridere e mantenere un ghigno compiaciuto, incredulo, estasiato. Fottuti bastardi, guarda un po' cos'hanno combinato, penso.
Buono il mid-tempo dal sapore hard rock di "Devil in Disguise", basato su un riff potente e classico nello stile che viene pian piano rifinito e impreziosito da piccole variazioni mentre Rob canta in modo chiaro, senza strafare. Ulteriori erezioni in arrivo con "Gates of Hell", un tradizionale mid-tempo con la voce di Halford espressiva come non si sentiva da tempo: sa essere graffiante, melodica e interpretare i testi con sentimento e una leggera malinconia di fondo. Un brano semplicissimo eppure così di classe. Ottimo anche l’assolo di Riccardino, sempre più salvatore della patria. "Crown of Horns" è un altro gioiello del disco in grado di provocare brividi dalla schiena alle dita; una canzone tanto semplice quanto funzionale che si sviluppa tra un velo di tristezza e solennità, con liriche che rimangono in testa e melodie vincenti. "As God Is My Witness" ci risveglia con un bello schiaffo, un riff arrembante, doppia cassa tutta randa in pieno stile Priest e ricorda (alla lontana) Metal Meltdown, oppure Judas is Rising o, ancora Demonizer. "Trial by Fire" è poi una canzone cadenzata e indovinata che poggia su di un riff semplice e fischiettabile valorizzato dalla produzione. Buona anche la linea di Rob che si contiene negli acuti sfornando un'altra grande prova. Solamente nel finale alza un pochino i giri con un leggero effetto-gallinaccio. L'album a questo punto inciampa in un paio di canzoni non particolarmente riuscite: "Escape from Reality" è groovosa, dal mood scuretto, quasi drammatica, meno immediata, insolita sia come metrica che come costruzione. Mentre "Sons of Thunder", breve ed energica, si presenta come un up-tempo dal rifframa diretto, un contro-coro che non funziona benissimo e un ritornello ripetitivo e sbrigativo. Lavorandoci di più avrebbe potuto uscirne qualcosa di assai migliore. Chiude "Giants in the Sky", piacevolissimo mid-tempo massiccio dotato di un riffing iniziale che ha assonanze con altri brani recenti. Presenta poi una bella apertura e un suggestivo arpeggio che sorregge una grande interpretazione di Rob.
CONCLUSIONI
Invincible Shield è un disco insperato, inatteso che ha saputo emozionarmi, farmi ritrovare una band che credevo giustamente finita, vinta dal tempo, e che invece piazza un colpo di coda. L'ennesimo. Ovviamente non è qui che bisogna ricercare l'originalità, non è nascosta in questo album l'evoluzione del genere o l'apertura verso nuove strade. Invincible Shield è un concentrato di metallo forgiato dai migliori fabbri che hanno plasmato la nostra musica in cinquant'anni di storia, un disco di mestiere, certamente, ma che altrettanto certamente riesce a provocare un incredibile senso di appagamento e stampare un bel sorriso in faccia. Ancora una volta.

Nota a margine
Come avete letto, non ho fatto paragoni con il passato, non mi sento nemmeno di confrontare questo nuovo disco con il precedente o con il resto della produzione degli inglesi. Per farlo occorrerebbe un po' di tempo, qualcosa di fisiologico per lasciar depositare le canzoni, riprenderle in mano, ripensarci con calma. Sony ha però inviato il disco il 4 marzo e sto scrivendo queste righe alle 3 e 32 di mattina del 6 marzo dopo numerosi ascolti, mentre l'album è stato appena pubblicato integralmente su Youtube di sgamo, e domani (7 marzo) verrà diffuso globalmente. Capirete che non è il modo ideale di lavorare.



Recensione a cura di Francesco Frank Gozzi

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Ultimi commenti dei lettori

Inserito il 25 mar 2024 alle 19:32

Almeno 8 È un bel disco Firepower da 7. 7,5 massimo

Inserito il 10 mar 2024 alle 19:37

GRANDE!

Inserito il 09 mar 2024 alle 22:24

Arrivato. Divorato. Ora sono al secondo giro di ascolto. Cosa dire? Se vogliamo metterla in numeri, un 8 pieno e meritato. Dopo 50 anni avere un tiro del genere, trasmettere quella passione e quell'amore per il metal è cosa da pochissimi. Un album di grande ispirazione e con quel tanto di mestiere che solo i grandi sanno amalgamare così bene. Questi possono ancora insegnare a band ben più giovani e osannate come suonare e cosa significa "attitudine". E ho iniziato ad ascoltarli seriamente da Firepower quindi non sono certo un fanboy (che poi, a 48 anni, boy sarebbe un tantino lusinghiero). Bravissimi JP!

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