La storia dei
Lucifer Was può sembrare “curiosa”, ma in realtà non è poi così inusuale, soprattutto nei tempi recenti, assistere alla “riesumazione” di formazioni dalle origini lontane nel tempo.
Quelle dei nostri norvegesi risalgono addirittura alla fine degli anni sessanta / primi settanta, periodo in cui la
band si è regolarmente esibita dal vivo, pur senza arrivare all’incisione discografica ufficiale.
Il temporaneo scioglimento alla metà dei
seventies e poi nel 1995 il ritorno sulle scene, questa volta con il supporto dalla Record Heaven / Transubstans Records che li ha condotti alla realizzazione di sette
album.
Questo nuovo “
Ein fix ferdig mann” patrocinato dalla
Apollon Records è anche il primo loro lavoro cantato in madrelingua e ci consegna un crogiolo sonoro abbastanza “particolare”, costituito da enfasi sinfonica, grinta
hard-rock e romanticismo
prog, quasi si trattasse di un incontro tra Uriah Heep, Moody Blues, Queen e Camel, a cui possiamo aggiungere, per rimanere in Norvegia, pure Titanic e Magic Pie.
Il coro operistico che introduce (e inframezza) “
Frå fyrste dag” lascerebbe immaginare qualcosa di ben più “oscuro”, ma lo sviluppo del brano pone in contrasto tale clima con aperture melodiche decisamente meno gotiche, a comporre un’
opener piuttosto straniante e intrigante.
Lo stesso effetto emotivo lo produce l’atmosfera fluttuante di “
Ein fix ferdig mann”, mentre gli accenni sinfonici di “
Krig I opne landskap” si schiudono al cantato stentoreo ed evocativo di
Jon Ruder, abilissimo nel sostenere il crescendo teatrale e inquieto (con una tastiera a tratti vagamente Goblin-
esca) che supporta il pezzo.
“
Ei gåte” rivela il lato maggiormente “vaporoso” e
freak dei
Lucifer Was, capaci subito dopo, con “
Når natta kjem og tek meg”, di avvolgere l’astante di un bozzolo fatto di brumose filastrocche nordiche e di suggestivi suoni di
mellotron, per poi celebrare i maestri del
prog-folk Jethro Tull nell’ispirazione armoniosa ed eclettica di “
Eg vil ha det eg vil ha”.
Meno efficaci si dimostrano le languidezze ampollose di “
Snømann I sol” e se “
Aftenbøn til dauden” piace per l’andamento istrionico ed epico (forse appena un po’ troppo “carico”), “
Kunsten å gjere ingenting” si palesa come un’altra eccellente “palestra” per l’interpretazione di
Ruder, parecchio intensa e sfaccettata.
Che si tratti di una scoperta, di una riscoperta o della convalida di una fedele dedizione, concedere la vostra sempre più sollecitata attenzione a “
Ein fix ferdig mann” è certamente da considerare una scelta di buonsenso e buongusto.
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