Pur non avendo la stessa "fama" di quella di altri paesi, la scena black metal della Germania, soprattutto a partire dalla seconda metà degli anni '90, ha sempre esercitato su di me un fascino sinistro: sarà la particolarità del suono teutonico, sarà un idioma perfetto per il genere, sarà il loro essere comunque sempre riconoscibili, sta di fatto che ogni gruppo di quel paese porta con se, sempre, qualcosa di speciale.
Gli esordienti
Ad Mortem lo confermano.
Il loro suono, insieme feroce e melodico, suonato con perizia ed arricchito da una produzione senza pecche, colpisce dritto l'ascoltatore e mette in evidenza un buonissimo gusto per le atmosfere, ora belligeranti, ora "primigenie", in un connubio che, se da un lato richiama l'estremo finlandese (sopratutto), dall'altro si dimostra, invece, molto germanico nel suo essere preciso, rigoroso e senza inutili fronzoli.
"In Honorem Mortis" è ricco di attitudine, di chitarre che non sbagliano una nota mentre tessono melodie dallo spirito misantropico, di connessioni strutturali che lo rendono armonioso, di una sezione ritmica semplicemente devastante e, soprattutto, di
canzoni che sviscerano il senso ultimo del black metal per la loro furia sferzante ed il loro piglio epico, elementi amalgamati con estrema maestria ad ottenere la spina dorsale di tutto il disco.
Siamo di fronte, per quanto detto fino ad ora, ad un album di sicuro valore che nella collezione di un blackster, con buoni gusti, non sfigurerà in alcun modo a riprova, qualora ce ne fosse ancora bisogno, che nell'underground estremo si nascondono, fortunatamente, piccole gemme che si contrappongono, fiere, all'immondizia mainstream che, sempre con maggior forza, sta insozzando anche l'ambito estremo.
Lunga vita, quindi, agli
Ad Mortem ed alla loro celebrazione della morte poichè, probabilmente, è nella fine che troveremo un nuovo inizio...
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