Sono sempre "spontaneamente" abbastanza ben disposto nei confronti di bands italiche che decidono di esprimersi in lingua madre, esponendosi in modo incondizionato, senza la "protezione" di una lingua straniera che non tutti capiscono "al volo" e quasi mai ci si preoccupa di tradurre.
Se consideriamo, inoltre, le difficoltà metriche tipiche del nostro idioma applicate al rock e il fatto che i Down to none sono stati capaci di ottenere, con il loro primo Ep autoprodotto ("A dying day") cantato in inglese, un riscontro di critica parecchio positivo, una scelta di questo tipo è chiaro che denoti coraggio, una certa convinzione dei propri mezzi e forse anche un'urgenza comunicativa che solo un'opzione come questa poteva soddisfare.
Diciamo subito che i testi dei livornesi difficilmente concorreranno per un premio letterario (e neanche ci si aspetterebbe che lo facessero), ma sono abbastanza ben congegnati e s'incastonano in modo molto adeguato (e non sempre ci si riesce facilmente) in un sound che chiama in causa il post-grunge e (in misura minore) il new-metal con analoga competenza, senza essere comunque totalmente e fastidiosamente assoggettati ai propri riferimenti ispirativi, che possono essere individuati in bands come Creed, Soundgarden, Alter Bridge, con derive musicali di Godsmack, Sevendust e Machine Head ("Down to none" è anche il titolo di un brano tratto dal loro "The more things change ...": un omaggio esplicito?), dimostrando una discreta perizia compositiva.
La corposa e coinvolgente melodia "pesante" di "Quel che non sei", l'aggressione groovy di "Frenetica" e la solo leggermente meno efficace potenza sincopata di "Dentro un attimo", sono ottimi esempi delle doti dei ragazzi toscani nel campo delle sonorità più "frontali", mentre, a mio modo di vedere, c'è ancora qualcosa da registrare dal lato di quelle maggiormente emozionali ed intimistiche esposte in "Fino in fondo", un brano munito di spunti interessanti, ma che non sempre appaiono perfettamente coordinati.
La tecnica esecutiva e l'affiatamento non fanno difetto ai nostri (plauso particolare al bravo singer Mikol per la capacità di disimpegnarsi in modo discretamente convincente in un ruolo che spesso risulta essere il "tallone d'achille" di molte formazioni nostrane, pur pedinando, senza per il momento eguagliarne del tutto la grandezza, le timbriche e lo stile interpretativo di Scott Stapp, Chris Cornell, Eddie Vedder o Myles Kennedy - a proposito, piccola divagazione ... quella di quest'ultimo è una delle migliori voci "nuove" ascoltate nel "genere" recentemente!), così come la registrazione è da giudicare più che accettabile, forse solo un po' troppo "secca" e lineare per garantire una resa sonora ottimale.
Una promozione priva di patemi, dunque, per questo "Dentro un attimo", un "lavoretto" piuttosto buono, in cui il cambiamento linguistico non ne ha ridotto l'impatto, e per i Down to none, una band dalle premesse incoraggianti (tra le altre cose mi piace anche il loro simpatico logo), che con qualche minima rettifica (soprattutto sul versante "passionale") potrebbe ottenere cospicue soddisfazioni anche presso il "grande pubblico".
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