Avviso destinato a tutti gli appassionati di
AOR “classico”, in particolare a quelli che amano le configurazioni artistiche sviluppate sotto forma di
all-star band (“roba” alla Shining Line e Charming Grace, per intenderci …): non lasciatevi sfuggire questo debutto eponimo degli
Oz Hawe Petersson’s Rendezvous, scintillante progetto musicale ordito dal chitarrista degli Osukaru
Oz Hawe Petersson e dal tastierista
Mathias Rosén (entrambi già complici negli Eye, gruppo scioltosi nel 2010).
Attorniato da un manipolo di cantanti e musicisti “eccellenti” (in tutti i sensi), il duo realizza un
album in grado di entusiasmare tutti i veri “maniaci” del genere, quelli cioè che bramano per le melodie maliose e per le interpretazioni irrorate da porzioni imperiose di
feeling, infischiandosene bellamente della mancanza di tracce significative di vera “innovazione”.
“Gente”, insomma, che non s’indispone di fronte alla riproposizione di
cliché universalmente collaudati, almeno quando questi sono suonati, prodotti e arrangiati con estrema cura, professionalità e buongusto, aggiungendo poi al quadro sonoro complessivo un’adeguata dose d’ispirazione.
Poter contare sull’ugola raffinata di
David Forbes (Boulevard), su quella vibrante di
Fredrik Werner (Osukaru, Air Raid) e su quella pastosa di
Chris Rosander, costituisce, oltre all’evidenza di un indiscusso “valore aggiunto”, anche qualche plausibile indicazione sui contenuti dell’opera, e se a questi “signori” aggiungiamo pure un pregevole contributo “dell’altra metà del cielo”, garantito da
Jane Gould (Forget-Me-Not, ex Iconic Eye), appare chiaro che “
Oz Hawe Petersson’s rendezvous” ha i mezzi per soddisfare in maniera ampia le diverse esigenze del popolo degli
chic-rockers.
E allora via con la consueta breve descrizione di un programma aperto dall’
intro “
Tuning in” e poi capace con “
Sacred land” di avvolgere l’astante in un radioso bozzolo di brio melodico tipicamente
ottantiano, così come la successiva “
As we cry” sfrutta ad arte un’altra delle favolose prerogative espressive della grande tradizione del
rock adulto, alzando la temperatura emotiva attraverso una melodia fremente e crepuscolare.
L’elegiaca “
These tears” e la languida “
All roads lead back to you” confermano (tuttora)
Forbes tra ì migliori interpreti della fonazione modulata più passionale, mentre a garantire un’opportuna scossa elettrica ci pensa l’artigliante e
bluesy “
Midnight lady (dangerous game)”, in cui
Werner e
Rosander si spartiscono efficacemente il microfono e
Anton Joensson (Cruzh) provvede all’appropriato graffio chitarristico.
“
Fool’s gold” e “
The essence of love” sono i due pezzi affidati alla vocalità adescante della
Gould e se il primo è un gradevole frammento
poppeggiante sostenuto dalle tastiere di
Rosén, il secondo è un autentico gioiellino sonico da consegnare in tutta la sua brillantezza agli estimatori di Issa, Heart e Romeo’s Daughter.
Le tinte del
rock nordamericano degli
eighties, tra
Michael Bolton,
Bryan Adams e
Stan Bush (celebrati con destrezza dall’ottimo
Werner), colorano anche le melodie evocative di “
This time around” e “
Never be” e l’ultimo elogio lo riserviamo alle
backing vocals di
Zuzanna Korba (emersa grazie al
TV-show Swedish Idol) sempre piuttosto funzionali e proficue.
Una selezionata coalizione di professionisti del settore sentitamente coinvolta nel concretizzare al meglio un
songwriting tanto rispettoso dei sacri dogmi quanto illuminato da un elevato potere di suggestione … in sintesi, è quello che troverete in “
Oz Hawe Petersson’s rendezvous” e che, accettati tali presupposti, non potrà che conquistarvi.