Ci sono gruppi inspiegabilmente sottovalutati e altri così poco
trendy e
chiacchierati da venire dati quasi per “scontati” anche dai loro fedeli estimatori, di rado disposti a citarli come un “esempio” di levatura artistica.
I
The Quill appartengono un po’ a entrambe le categorie, ed evidentemente non sono stati sufficienti ben dieci
album (a fronte di una carriera avviata nei primi anni novanta) all’insegna del talento e di una coerenza espressiva ben lontana dall’ottusità a modificare in maniera determinante questo stato di cose.
E allora, proviamo nuovamente (qui a
Metal.it gli apprezzamenti nei confronti degli scandinavi non sono mai mancati …) a rendere giustizia alla pregevole attività sonica degli svedesi, esaltando come merita la loro undicesima fatica discografica, un albo che vede il quartetto “storico” della
band in condizioni di forma smagliante, capace di celebrare con innata e rinvigorita ispirazione la Storia dell’
heavy-rock caliginoso, capeggiata da una formazione di Birmingham che ne ha dettato i principi già “qualche” tempo fa.
Insomma, se i Black Sabbath sono stati e sono tuttora dei
Maestri per intere generazioni di musicisti, non tutti i loro devoti epigoni hanno saputo dare prova di possedere quel “carattere” nella qualità compositiva e interpretativa in grado di rendere credibile ed emozionante tale venerazione.
Ebbene, i
The Quill hanno già ampiamente dimostrato di padroneggiare la materia con sensibilità, ricchezza di soluzioni e cultura, e “
Wheel of illusion” è semplicemente l’ennesimo attestato di una fedeltà ai “sacri dogmi” del genere priva di manierismi e di sgradevoli riciclaggi, sublimata attraverso un’intensità che lo rende uno dei lavori emotivamente più imponenti degli ultimi periodi.
In questo modo, se nel programma sono rispettati tutti gli elementi costitutivi del settore, a fare la differenza ci pensa un concentrato di energia e
feeling, amalgamato ad arte con costruzioni melodiche sempre piuttosto efficaci e coinvolgenti.
La voce di
Magnus Ekwall, poi, è perfetta per questi suoni, e ascoltarla pilotare con prospero piglio
Ozzy-esco le partiture magnetiche e arrembanti della
title-track e di “
Sweet mass confusion”, e poi ancora apprezzarne le evocative peculiarità nel
groove pulsante di “
Elephant head” e nelle irretenti spirali di “
The last thing", è un’autentica delizia per i timpani dei
retro/doom-rockers all’ascolto.
La seducente “
We burn” all’influenza autoctona dell’
hard dei
seventies aggiunge il contributo fornito dai suoi eredi più “moderni” (Soundgarden, Spiritual Beggars, …), lo stesso che ritroviamo nelle dilatazioni liquide e nel crescendo di “
Rainmaker”, mentre “
Hawks & hounds” avvolge di vapori esotici, mistici e psichedelici l’astante, ricordando a tratti addirittura certe cose dei Jane’s Addiction.
Stoner e
grunge s’intersecano nella poderosa “
Liber” e con il fascinoso
trait-d’union tra Cream,
Sabs e Monster Magnet denominato “
Wild mustang” si conclude l’ennesima collezione di canzoni potenti e coinvolgenti, frutto di una creatività radicata nel “passato” e non per questo poco intraprendente e fastidiosamente scolastica.
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