Il gelo e l’oscurità del nord europa giungono anche in Messico… e sono i
Luciferian Rites ad esserne i messaggeri.
I quattro blacksters dediti al più devoto culto luciferino, con
“Oath of Midnight Ashes”, uscito sotto il patrocinio della
Moribund Records, sono già al loro terzo full-length, e non ne vogliono sapere di piegarsi agli abbagli delle mode della fiamma nera inautentica.
I messicani confezionano un vero e proprio gioiellino di true black metal che attinge prevalentemente dal patrimonio scandinavo, e non solo. Vengono citate come influenze principali
Sargeist,
Behexen e
Horna della scuola finlandese; tuttavia si sentono chiaramente gli influssi del minimalismo oscuro dei primi
Darkthrone (soprattutto nelle trame melodiche di sottofondo), la desolazione blasfema di
“Pentagram”(1994) e
“The Antichrist” (1996); così come l’epica glacialità dei
Taake, e la forza misterica, impetuosa e al contempo caritatevole, della neve argentata delle tormente dei
Setherial di
“Nord…” (1996). Inoltre possiamo apprezzare qualche accenno delle sinfoniche altitudini cosmiche di
“In the Nightside Eclipse” (1994), dell’ira pagana dei primi
Enthroned… e potremmo andare avanti per ore..
Non si fermano qui i
Luciferian Rites, i quali si accostano ancor di più, rispetto al precedente
“When the Light Dies” (2015), ai lidi farraginosi del DBM e del DSBM. In particolar modo quando le atmosfere rallentano come in
“By Sacrament of Grief and Pain”; dove vi sono sprazzi di chitarra acustica e fraseggi toccanti, con giri di basso che si impossessano momentaneamente della scena e liquefanno la gelida rabbia con il calore della più struggente e melanconica disperazione.
Atmosfere depressive che troviamo con forza anche in
“Astral Decay of an old Melancholy”, o in
“Omnia Oscura”; qui con un flebile alito di epicità che si insinua anche tramite qualche clean vocals, in cui nuovamente le quattro corde trovano il loro respiro, e in generale un po’ sparse per tutto l’LP.
L’influenza proveniente dalla frangia depressive e DSBM è data anche, e soprattutto, dallo stile canoro di
Count Shadow, che indubbiamente deve aver avuto numerose volte, come ospiti nel suo stereo, il conte norvegese e formazioni come
Forgotten Woods,
Bethlehem,
Urfaust,
Abyssic Hate,
Silencer e
Sterbend, giusto per citare, seguendo un criterio di affinità stilistica, i primi che mi vengono a mente.
Rispetto al passato questa componente inizia ad assumere una propria personalità, amalgamandosi allo scream tradizionale e arricchendosi di toni interpretativi multiformi; sviluppando così una dimensione più coesa, e contemporaneamente, come direbbe Nietzsche, prospettica.
“Oath of Midnight Ashes” rimane sul solco dei primi due full-length dei
Funeral Rites; riuscendo tuttavia a ricalibrare gli elementi in gioco, a impreziosirsi di colori che passano da piccoli particolari inaspettati: minuziose intrusioni di chitarra acustica, strumenti a fiato (nell’intro) e una serie di melodie che albergano i substrati profondi del marasma sonoro prevalentemente improntato sulla velocità e l’ossessività monocorde, che un orecchio allenato, e devoto all’amore verso la fiamma nera, potrà cogliere con facilità. Ed è quasi sempre il guitarwork essenziale di
Abomination la discriminante di tali innesti…
I messicani devono forse consolidare la propria identità e trovare il coraggio di esporsi ancora di più alle intemperie della solitudine; e probabilmente avrebbe giovato all’economia di insieme un minutaggio leggermente inferiore…
In ogni caso riescono a commuovere, inscenando in musica il dramma dell’esistenza di cui, consapevolmente o meno, tutti siamo attori.
Stringono un patto con l’oscurità… con le ceneri di mezzanotte, nell’intento – da loro esplicitamente dichiarato – della trascendenza, della demolizione delle illusioni e della conseguente trasmutazione.
Recensione a cura di
DiX88