Sembrerà strano, tuttavia non ho molto da dirvi in merito al nuovo lavoro dei
Dauþuz…
È proprio della condizione della meraviglia lo stato d’animo dello stupore, a cui a sua volta è immanente la situazione del trovarsi di fronte a qualcosa che non si è mai visto, in questo frangente udito, o, ridimensionando la questione al mio caso, di fronte a un oggetto inconsueto.
La meraviglia conduce nel sentiero della contemplazione sedotta ipnoticamente dall’incanto estatico… E questa avviene nel
silenzio dei sussurri e dei battiti del cuore.
“Uranium” si configura come lo zenit del processo creativo dei tedeschi, che a mio avviso trovano il giusto anello di congiunzione, tra la potenza più iconoclasta del Black Metal nord-europeo e l’epopea Epic/Viking dei
Bathory, ammantata da un alone depressivo, struggente e malinconico, che chi ama il genere non potrà non apprezzare.
Tornano a raccontarci della miseria dei minatori oppressi, questa volta, nelle profondità delle miniere di uranio (dal comunismo sovietico), delle loro sofferenze, della storia della loro madre terra, inglobando, tra le tenebre, quell’entusiasmante substrato folk ereditato dai connazionali
Falkenbach, e indubbiamente dalle asperità oscure degli
Windir…
Si narra del passato, della tragedia, che di per sé sarebbe inutile se non fosse funzionale allo scopo di riattualizzarla, riviverla, come cosa presente nell’hic et nunc. Questo con un duplice obbiettivo: apprendere, come fosse un esperienza giocata sulla propria carne, così da poter orientare conseguentemente il nostro presente;
cogliere dai nostri avi quel sapere tramandato, che, il tempo trascorso nell’anonimia del nostro stile di vita, imposto dalla civiltà progressista, ha intenzionalmente oscurato.
Un sapere, che nel tornare a fluire nel nostro pensiero, si riplasma, si riattualizza, fondendosi integralmente con la nostra stessa persona.
Questo era anche il nucleo del neoidealismo e dell’attualismo italiano… che seppure con gravi errori di trasposizione, dalla metafisica teorica al più spietato terreno della prassi, aveva il suo nucleo di verità.
Non ho altro da aggiungere…
Questa è arte in grado di travalicare ogni barriera di musica estrema; in grado di abbracciare l’universale con tutta la sua molteplicità di sfaccettature, restando, al contempo, maledettamente nera.
È un itinerario che ogni amante dei misteri della potenza creativa dovrebbe percorrere.
Non cercate di decodificare l’arte… non nel caso di [B
“Uranium”[/B].
Spesso si è più realisti nel voler lasciare intatto il mistero, piuttosto che a volerne tentare ad ogni costo un’esegesi.
Tutta l’esistenza umana altro non è che un processo di disvelamento dei fenomeni, costretto ad arrestarsi di fronte all’insondabile; corrispondente, in ultima istanza, al fronte terminale della nostra realtà.
Il fuoco nero qui sprigionato dai
Dauþuz è inafferrabile: un ombelico congiunto con l’ignoto.
Ho ancora gli anfibi neri grondanti di sangue, terra e neve argentea…
È stata lunga e ardua la strada del ritorno.
Recensione a cura di
DiX88