Il
sound, l’iconografia, la voce femminile … tante “avvisaglie” che rischiano di far precipitare gli
Heavy Temple nel marasma di formazioni simili … nulla di più sbagliato, come sa bene chi ha già apprezzato il loro albo di debutto “
Lupi amoris” (e gli
Ep precedenti).
Gli americani non sono per niente “uno dei tanti” frequentatori del cosiddetto
occult-rock e sono convinto che anche i loro estimatori rimarranno “sorpresi” da come in questo nuovo “
Garden of heathens”
Elyse ‘High Priestess Nighthawk’ Mitchell e i suoi
pards hanno saputo portare avanti la loro concezione di
stoner-doom, accentuando ulteriormente una personalità artistica che partendo da dogmi radicati e consolidati riesce comunque a distinguersi per intensità, versatilità e capacità di coinvolgimento emotivo.
La ricetta musicale è, come da “copione”, edificata su tonnellate di
groove,
trip lisergici, distorsioni acide, atmosfere torbide e declamazioni sciamaniche ed evocative, ma, a dimostrazione che non è sufficiente cibarsi dei “classici” per risultare credibili ed efficaci, il "pacchetto" nelle mani del trio di Philadelphia annichilisce buona parte della concorrenza grazie ad una tensione emozionale davvero “impressionante” e attanagliante, in grado di esplodere nei sensi di chi ama da sempre queste sonorità e magari, dopo essersi piacevolmente “stupito” per la loro recente diffusione, comincia ormai a rilevare i prodromi di una tipica “debilitazione” da
trend.
Ebbene, nei solchi di “
Garden of heathens” non troverete neanche l’ombra di tale
spossatezza e anzi sarà un vero piacere venire investiti da un flusso possente di pura energia sonica, gravida di visioni fosche e magnetiche, in un misto di scenari spettrali, apocalittici e stranianti.
L’albo si apre con una sorta di fusione tra Black Sabbath e Masters Of Reality denominata “
Extreme indifference to life”, attuata però con la consapevolezza di chi la “materia” l’ha completamente metabolizzata e la sa trasfigurare in modo assolutamente imponente, esattamente come accade nella successiva “
Hiraeth”, un grumo pulsante e incalzante di
heavy-blues, su cui si erge il cantato livido e altero della
Mitchell.
Arrivati a “
Divine indiscretion”, si comprende ancora meglio quanto gli
Heavy Temple siano in possesso di una conoscenza ampia e variegata delle peculiarità del genere, e perdersi in questo frammento di pura vertigine sonica rappresenta un momento di vera astrazione dalla realtà.
“
House of warship” è un irresistibile richiamo verso la più cupa oscurità, luogo in cui incrociare anche i riflessi cangianti di “
Snake oil (and other remedies)”, dove lo
spleen iniziale diventa via via più incombente e impetuoso, madido di cariche lisergiche e di convulse impennate sature di elettricità.
A questo punto dell’ascolto, il diafano interludio acustico “
In the garden of heathens” appare perfetto per differenziare il clima senza allentare la tensione e preparare l’astante alle poderose pulsioni oblique di “
Jesus wept”, un autentico
tour de force di ribollente magma
stoner-rock.
L’inquieto e appassionante viaggio, dopo aver visitato Birmingham e Palm Desert, si conclude con una tappa a San Francisco, in cui assorbire anche la veemenza iconoclasta del
thrash e rendere lo strumentale “
Psychomanteum” un ibrido davvero tumultuoso e coinvolgente.
“
Garden of heathens” si distingue per
pathos e irrequietezza artistica, il tutto proiettato all’interno di un canovaccio stilistico riconoscibile e collaudato … un risultato molto proficuo e significativo che conferma gli
Heavy Temple tra i più autorevoli e carismatici rappresentanti del settore.
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