Matney - The Redneck & The Red Man

Copertina 6,5

Info

Anno di uscita:2024
Durata:23 min.
Etichetta:Roulette Records
Distribuzione:Cargo Records

Tracklist

  1. REBEL SAINT
  2. ALL FIRED UP
  3. BIG DADDY
  4. ALL SHE WROTE
  5. TOMCAT
  6. THIS HEART HAS A GHOST
  7. ONE WAY ROAD
  8. WASHED IN THE BLOOD

Line up

  • Mike Matney: vocals, guitar
  • Stevie Salas: guitars

Voto medio utenti

Mai sentito parlare dei White Boy and the Average Rat Band? No?
Beh, finora nemmeno io … a conferma che non si smette mai d’imparare e conoscere, un altro motivo per cui amo questo bellissimo “mestiere” che spesso mi permette di accrescere la mia “atavica” brama di consapevolezza musicale.
Una considerazione che arriva grazie a questo dischetto pubblicato su etichetta Roulette Records a nome Matney, dove il leader Mike Matney, già agitatore della “misteriosa” band succitata, viene supportato dall’istrionico chitarrista Stevie Salas, noto anche come produttore e collaboratore di “gente” come Justin Timberlake, Jeff Healey e Mick Jagger.
In realtà, al di là di consentirmi di ampliare la mia preparazione (piuttosto interessante “White Boy and the Average Rat Band”, del 1980 … una sorta d’incrocio Judas Priest / Motorhead / Steppenwolf immerso nell’acido …), la “storia” di Mike non è di grande sostegno alla comprensione e all’analisi di “The redneck & the red man”, un’opera fondamentalmente consacrata al periodo elettronico e “danzereccio” degli ZZ Top, culminato nel fortunatissimo “Eliminator”.
Una soluzione espressiva, nonostante il successo, considerata da molti estimatori del trio texano un autentico “tradimento”, e che i nostri ripropongono in maniera spesso parecchio fedele e puntuale.
Ciò detto, e avvisato il lettore della (divisiva) questione, non posso nascondere un certo gradimento nell’ascoltare “Rebel saint” e “One way road”, che sembrano cover degli ZZ Top suonate dai The Black Keys, o “All fired up”, che invece aggiunge al concetto di southern synth-etizzato un pizzico di “decadenza”, quasi Iggy Pop si trovasse a contribuire al progetto.
Ritengo tuttavia potenzialmente più interessanti le graffianti deviazioni di funk urbano concesse a “Big daddy” e "Tomcat”, e anche "This heart has a ghost”, una sorta di fusione tra Moby e The Sisters of Mercy, e “Washed in the blood”, con il suo clima lascivo e avvolgente, si segnalano tra i brani migliori del dischetto.
Meno efficaci risultano, infine, le suggestioni cibernetiche di “All she wrote”, a completamento di una raccolta di canzoni abbastanza piacevoli e intrattenenti, adatte principalmente ad accompagnare i vostri momenti più disimpegnati, dove anche i “duri” si concedono la possibilità di “ballare” con il rock n’ roll.
Mettiamola così … anche chi, all’interno del variegato popolo rockofilo, non aveva gradito la svolta “commerciale” della band di Billy Gibbons, difficilmente poi cambiava canale se alla radio trasmettevano “Legs”, “Sharp dressed man” o “Gimme all your lovin’” e sono convinto che succederebbe una cosa analoga (fatta salva l’inevitabile differenza di valore artistico) anche qualora qualche pezzo di “The redneck & the red man” si sostituisse alla mole di paccottiglia pop n’ trap che ammorba l’etere contemporaneo.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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