Copertina 8

Info

Anno di uscita:2024
Durata:43 min.
Etichetta:Klonosphere Records / Season of Mist

Tracklist

  1. FISH
  2. MIRRORS
  3. (IN THE AURA OF MY OWN) SADNESS
  4. BLIND
  5. IRON MONSTERS

Line up

  • Chloe Panhaleux: vocals, electric harp
  • Tom Penaguin: guitar, backing vocals
  • Charlélie Pailhes: bass, backing vocals
  • Allan Guyomard: drums, vocals

Voto medio utenti

Riuscite ad immaginare un incrocio tra King Crimson, Curved Air, Black Sabbath, Crisis, Blue Cheer e P. J. Harvey? Non è semplicissimo, ma se gradite le “contaminazioni” sono fermamente convinto che una suggestione del genere possa stimolare la vostra attenzione rockofila.
La mia, i Djiin l’hanno conquistata appieno fin dal primo contatto con “Mirrors”, un disco che è una specie di “sogno” ad occhi (ed orecchie) aperti per tutti quelli che amano un suono conturbante e imprevedibile, una sorta di perenne equilibrismo musicale sull’orlo dell’abisso, con la voce torbida, schizofrenica ed evocativa di Chloe Panhaleux che suscita continui e intensi brividi emozionali.
Al resto provvede la chitarra fremente di Tom Penaguin e una sezione ritmica, formata da Charlélie Pailhes e Allan Guyomard, davvero efficace ed eclettica, preparata ad assecondare le diverse diramazioni soniche che alimentano il programma.
Siamo dunque di fronte ad una ricerca di distinzione artistica e di rottura degli schemi da plaudere senza indugi, e anche se forse la piena integrazione stilistica non è ancora stata raggiunta, il modo di “pensare” musica del quartetto francese è certamente chiaro e realizzato attraverso una cura espressiva già molto intrigante e fascinosa.
Un programma fatto di cinque brani, lunghi e articolati, che con “Fishs” svela immediatamente l’intrinseca irrequietezza dei Djiin, alle prese con una forma di pulsante stoner-rock intriso di languori crepuscolari, mentre con la title-track dell’opera i francesi arrivano ad esporre geometrie sonore ancora più oblique e irregolari, dove vengono mescolati battiti tribali, fraseggi spezzati di scuola prog, squarci metallici e atmosfere tenebrose ed eteree tra psichedelia e dark-wave.
(In the aura of my own) sadness” è un viaggio orientato verso gli angoli più reconditi e iridescenti dell’anima, pilotato dall’interpretazione istrionica della Panhaleux e capace di attraversare terreni jazzati e spirali lisergiche con sorprendente disinvoltura.
Con “Blind” il clima si fa decisamente più insidioso e lugubre, alimentato da chitarre ribassate, ritmi impetuosi e dai vocalizzi viscerali della cantante, e anche il break strumentale, sospeso nell’etere, non è per nulla rassicurante, ampliando il senso di turbamento e claustrofobia trasmesso dal brano.
Una percezione che in realtà viene confermata anche dall’ascolto di “Iron monsters”, che pur all’inizio si muove su registri maggiormente diafani, resi però inquieti dalle chitarre sinistre e taglienti e dalla tensione efferata ed apocalittica che grava sull’epilogo di un album complessivamente assai impressionante.
Tentare di superare le pastoie delle categorie e sovvertire le “regole costituite”, nel rockrama contemporaneo, è un fatto piuttosto infrequente e riuscirci in maniera convincente, sagace e coinvolgente è davvero una rarità … elogiare e sostenere i Djiin per intenzioni e risultati diventa, pertanto, assolutamente necessario e propedeutico ad affinare tanta audace e multiforme vitalità artistica.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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