“
Circles”, il nuovo
album dei
Vicolo Inferno, è un buonissimo esempio di “
hard-rock moderno”.
Un
incipit tranchant e forse anche un po’ ambiguo, che però ritengo adeguato al prodotto e non vuole rievocare asetticamente i tempi del famigerato “suono di Seattle”, per molti (superficiali) ascoltatori, la fonte di tutti i mali del
rock.
Sebbene parecchio di quell’amato / odiato grunge sia sicuramente presente nell’approccio artistico dei nostri emiliano-romagnoli, la loro capacità di assimilarlo e di assemblarlo poi con dosi di
hard più autoctono e scampoli
alternative, rende il
sound complessivo piuttosto adatto al “radio-rock” contemporaneo, degno di trovare posto nelle
heavy rotation che coinvolgono “gente” del calibro di Godsmack, Bush, Black Stone Cherry, Alter Bridge e Shinedown.
Uno dei primi punti di forza del disco risiede nella voce di
Igor Piattesi, modellata su un timbro poderoso ed espressivo (dalle sfumature spesso riconducibili ad un misto tra
Scott Weiland e
Gavin Rossdale), supportata subito dopo dalle chitarre taglienti di
Marco Campoli, ben assecondate, infine, dalla solida e pulsante base ritmica gestita dal duo
Wallace /
Renzo Cuomo (una
new entry subito entrata in sintonia con il resto del gruppo).
Una squadra affiatata, insomma, capace di costruire strutture melodiche abbastanza efficaci e persuasive, intridendole di
feeling e grinta, senza “spingere” eccessivamente sulla “ruffianeria” dei ritornelli.
Una caratteristica, quest’ultima, che nell’ottica di un’eventuale affermazione ad “ampio spettro”, potrebbe essere incrementata e migliorata, ma che tuttavia non svaluta oltremodo l’ascendente subdolo e ruggente di “
Hidden”, l’impatto del
molosso “
Suspended” e l’efficacia dei chiaroscuri concessi a “
Sneeze in a mob”.
Dopo un valido numero di denso e “aggiornato”
hard-psych-blues denominato “
10.000 pieces”, arriviamo a “
Cold surface”, un pezzo favoloso, che non esito a definire il vero
climax dell’opera e che costringerà all’ascolto reiterato a chi ama le inquietudini ipnotiche degli Alice In Chains e il
pathos incombente di certi Bush.
“
Wine drops” è uno di quei brani che, con un pizzico di maggiore “attenzione” e solerzia avrebbe potuto diventare un
hit, mentre “
The gift” esordisce con atmosfere vagamente Korn-
iane e poi si sviluppa lungo una struttura armonica piuttosto adescante e coinvolgente.
“
Gummy bears” torna a solcare con discreto profitto territori
hard-southern più “tradizionali”, preparatori, infine, alla “botta” finale garantita dal
groove pulsante di “
Handle with s(care)” e da una
title-track che striscia nei sensi rievocando una sorta di fusione tra Chevelle e Pearl Jam.
“Seguendoli” già da un po’ di tempo (e mi è dispiaciuto particolarmente non aver assistito al loro
show nella recente calata sabauda al fianco di Vicious Rumors e Crying Steel …), ritengo che i
Vicolo Inferno di “
Circles” abbiano confermato e ampliato quanto di buono fatto nei lavori precedenti, e che tale risultato, con un pizzico di superiore “scaltrezza” e maggiore cura delle melodie, potrà raggiungere un pubblico ancora più vasto e “trasversale”.