Stemperata l'estrema inintelligibilità degli esordi, data da strutture dissonanti e tecnicismi spinti alle loro estreme conseguenze, gli
Ulcerate, con
"Cutting the Throat of God" (
Debemur Morti Productions), proseguono sul percorso già segnato nel precedente (e clamoroso)
"Stare into Death and Be Still"(2020). Dove qui, queste componenti – inintelligibilità prodotta da esasperate peripezie dissonanti e atonali – vengono ulteriormente ridimensionate a favore di una maggiore orecchiabilità e di un'intensificazione del lato poetico della loro musica; tramite un sapiente innesto di melodie oscure e abissali dalle quali è impossibile non rimanere incantati.
Anche se inevitabilmente se ne deve fare menzione, allo scopo di conferire dei punti cardinali a cui riferirsi, è superfluo in un'opera simile soffermarsi eccessivamente su generi, influenze o isolare un brano piuttosto che un altro. Gli
Ulcerate si sottraggono ad ogni forma di catalogazione, e
"Cutting the Throat of God" è un capolavoro che deve essere assimilato come un blocco unico; in quanto la sua suddivisione in tracce è solo un mero espediente "narrativo". Tutto ha un senso esclusivamente nell'oscurità del mare magnum in cui si trova immerso.
Una diade inscindibile tra melodia e brutali dissonanze atonali; un continuo incedere e retrocedere nei ritmi dettati tanto dalle coordinate tipiche del metal estremo, con predilezione per il Brutal più intricato, quanto dall'estrosa grazia di inserti jazzistici; lugubri e gelidi arpeggi mutuati dalla fiamma nera, e una decadenza lirica passionale che fagocita, nella propria furia iconoclasta, la poetica melanconica di quelle formazioni Death/Doom, dalle tinte plumbee, della scuola inglese e svedese della prima metà dei '90. Inoltre si avverte lo zampino di
Magnus Lindberg, chitarrista, percussionista, e talvolta persino drummer degli avanguardisti Post-Metal
Cult of Luna, che si è occupato del mastering di questa nuova fatica dei neozelandesi.
Un'opera d'arte che comunque sia suona solo come gli
Ulcerate. Indubbiamente vi sono similitudini con altre realtà quali i
Deathspell Omega, e per certi aspetti i
Portal, come già vari recensori negli anni hanno fatto notare; tuttavia questi tre geni hanno creato il loro idioma più autentico; con quello si esprimono, e solo di esso hanno necessità.
Insieme ai già citati francesi, probabilmente stiamo disquisendo di una delle band più originali in ambito estremo, soprattutto se ci riferiamo al Death (il genere a cui sono più affini), degli ultimi vent'anni.
"Cutting the Throat of God" è un viaggio attraverso il tunnel dell'esistenza che per chiunque ha il medesimo principio e il medesimo approdo, e in particolar modo risulta essere una dissertazione sul tema della morale.
Una visione pessimistica di cui il gruppo non richiede condivisione, bensì accettazione.
Gli
Ulcerate qui restituiscono a poesia, tecnica e arte, il loro alveo di appartenenza, che è divergente solo per la nostra civiltà nichilista edificata dagli aedi del progressismo.
Poiché per i nostri padri - greci e latini -, arte, poesia e tecnica avevano il medesimo significato; e lo potreste constatare voi stessi tramite una banale ricerca etimologica. È la civiltà del nulla attuale ad aver posto lo iato tra tecnica e arte…
Iato che non sussiste nella musica degli
Ulcerate; dove qualsiasi cosa da essi suonata è funzionale e subordinata al messaggio sonoro che desiderano convogliare.
A un ascolto ripetuto vi accorgerete che la loro complessità è tutto fuorché uno sterile esercizio di stile; vi si disvelerà la linearità occultata dalle trame intricate intessute da questi tre alieni. Difficilmente riuscirete a smettere di adorare questa preziosa reliquia nera.
Racchiuso in questo scrigno giace il Santo Graal a cui ogni amante del metal estremo agogna.
Recensione a cura di
DiX88
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