Afelio – il punto di un pianeta, una cometa o qualsiasi altro corpo nell'orbita situato alla maggiore distanza dal sole...
Gli
In Aphelion si sono formati nel 2020, durante il periodo di pandemia, per volontà di
Sebastian Ramstedt (bass) e
Johan Bergebäck (guitars) degli svedesi
Necrophobic, in collaborazione con il batterista olandese
Marco Prij (
Cryptosis), e a cui recentemente si è aggiunto
Tobias Cristiansson, attualmente anche egli bassista dei
Necrophobic, oltreché degli ottimi
Darkened.
Dopo aver diffuso in questi anni numerosi singoli (oltre a un demo), l'ottimo EP
“Luciferian Age" (2021) e il loro album di debutto
“Moribund” (2022) – di cui ha egregiamente parlato il nostro maestro Dope –, rilasciano una nuova colata di ghiaccio assai gradita in questa torrida estate 2024:
"Reaperdawn", pubblicato sotto l'egida della
Century Media Records, prima vera etichetta di rilievo per gli
In Aphelion.
I ragazzi si muovono sulla medesima miscela Black/Death dalle tinte Thrash, in cui si inseriscono numerosi squarci melodici dal mood squisitamente Heavy Metal, che avevano contraddistinto anche
"Moribund". Tuttavia, rispetto a questo, finalmente gli
In Aphelion iniziano a smarcarsi dall'ombra dei Necrophobic, assestandosi in prevalenza su territori affini alla fiamma nera, piuttosto che a quelli della falce. Lo si avverte maggiormente dal tipo di suono complessivo, da un certo utilizzo delle armonie e dai substrati sonori che emergono dalle retrovie; oltreché dai costrutti nel loro insieme.
Nel complesso il gruppo si attesta su coordinate più melodiche rispetto al passato, le quali si sposano con toni esulanti dalla sola blasfemia, confluendo in risvolti epici culminanti, inoltre, in vari refrains dalla presa immediata. Attitudine melodica che infine si sublima integralmente negli squisiti solos di
Ramstedt (
"When All Stellar Light Is Lost", con la sua aura cosmica mutuata dai
Limbonic Art, ne è un fulgido esempio) e in guitarworks più dilatati, talvolta avvolti da forti contorni atmosferici, come nel misticismo della cadenzata e sofferta
"Aghori".
L'opera nell'insieme è coesa e al contempo policromatica; e non soltanto per le appena menzionate qualità stilistiche, bensì anche per l'eterogeneità della tracklist in sé; che altresì risulta pur sempre assoggettata al segno di un unico polo.
I brani, perfino nei loro apici di complessità, conservano sempre una certa musicalità easy listening; alternandosi tra momenti devastanti come
"The Fields in Nadir" o
"They Fell Under Blackened Skies" – dove in quest'ultima l'influsso della band di origine si avverte ancora con evidenza –, a capitoli squisitamente situati tra il Thrash e il Melodic Death più catchy (mi riferisco all'irresistibile
"Title-track"). Mentre, al contrario, in altri episodi è la poesia a insinuarsi tra le gelide intemperie del Black scandinavo, ricordando talvolta i
Dissection.
Un afflato poetico oscuro che suadentemente ammanta, divenendone involucro, tutto
"Reaperdawn", sfiorando lo zenit, sia lirico che espressivo, in
"A Winter Moon's Gleam". Grano di ghiaccio riflettente i fasci onirici occultati nel pallido splendore dell'argentea luna invernale… Lasciando spazio a lacrime ed esaltazione con un feeling più che mai '90's che, personalmente, mi ha trascinato nei paesaggi più sognanti dell'indimenticabile
Blashyrkh.
"Reaperdawn" è un prodotto composto con maestria ed estro, in grado di restare al passo con i tempi…
Ciò nonostante sfolgora immobile, insieme all'immutabile eternità del gelido Nord.
Recensione a cura di
DiX88