Qualora Green Lung, Spiritual Beggars, Wytch Hazel e Horisont rappresentino alcuni dei vostri “porti sicuri” musicali, in grado di mettervi al riparo dalle numerose avversità quotidiane, il mio consiglio è di non farvi sfuggire questo “
One way trip” degli americani
Worshipper, un disco che potrà tranquillamente riservarvi analoghe suggestioni stranianti e “protettive”.
Ispirato da notabili del calibro di Uriah Heep, Blue Oyster Cult, Trouble, Thin Lizzy e Black Sabbath, il quartetto di Boston riesce a rendere assolutamente seducente il ricorso al blasonato (e molto “sfruttato”) calderone, ostentando una spiccata abilità nel mescolare, forte di una solida alchimia artistica, orecchiabilità e tensione espressiva, costruendo melodie fortemente “retrospettive” e ciononostante splendidamente evocative.
È il caso dell’atto d’apertura “
Heroic dose”, con il suo attanagliante clima gotico, mentre il tocco
psych-garage concesso a “
Keep this” suggerisce all’astante appassionato di prepararsi ad un
songwriting tutt’altro che monotematico.
Con “
Windowpane” la
band statunitense esplora avvolgenti astrazioni
seventies, le quali acquisiscono peso e un pizzico di “modernità”
proto-grunge in “
Only alive”, impreziosita dalle note di una tastiera iridescente ed alquanto suggestiva.
È ancora una volta un’accattivante e arguta costruzione armonica a rendere le cromature metalliche di “
Acid burns” (non lontanissima da un’improbabile
jam tra Foo Fighters e Angel Witch) veramente efficaci, allo stesso modo in cui conferisce al
groove fluorescente e caliginoso di “
James motel” una spiccata attrattiva e svincola la coinvolgente “
The spell” dal rischio della “riesumazione” sonora acritica ed eccessivamente prevedibile.
“
Onward”, infine, addensa oscuri e desolanti presagi sulla scaletta di “
One way trip”, un’opera sinistra, visionaria e affabile, che non mancherà di affascinare gli estimatori del settore.
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