Pur essendo un fautore convinto della “lentezza” e della riflessione, in una società,
ahimè, sempre più convulsa e frenetica, devo ammettere che stavolta la “sollecitudine” potrebbe aver in qualche modo giovato alla prestazione artistica dei
Constancia.
Questo “
IV evermore” arriva, infatti, a “soli” tre anni dal precedente “
Brave new world”, contravvenendo alla “regola dei sei anni” che contraddistingueva la loro discografia, e appare come il migliore della carriera della
band britannico / svedese, il più focalizzato e appassionante nella prosecuzione di un percorso espressivo da accostare a quanto proposto da Khymera, Treat, Glory, House Of Lords e Royal Hunt.
Nulla di eccezionalmente “temerario” dal punto di vista squisitamente stilistico, dunque, e tuttavia sostenuto da un
songwriting capace di sublimare le notevoli doti tecnico / interpretative di un gruppo che finalmente mette a frutto in maniera convincente le sue spiccate potenzialità.
Poter contare sulla voce “educata” e flessibile di
Pete Godfrey (Blood Red Saints, In Faith) è ovviamente un
plus (come dicono quelli bravi …), ma, come anticipato, sentirla spiegarsi su costruzioni melodiche energiche e vivaci, pilotare ritornelli adescanti e fungere da perfetto supporto a
riff cromati e tastiere sapienti, è una vera delizia per i timpani e per una variegata selezione di altri organi.
Che il gruppo sia più “carico” e coeso di quanto non fosse nel suo pur apprezzabile passato, lo si percepisce facilmente fin dall’
opener “
Evermore”, accattivante e grintosa come potrebbe essere una
jam session tra Scorpions, Dokken e Winger, e un’analoga sensazione di vitalità la riservano sia il
groove “circolare” e contagioso di “
Feel my heartbeat” e sia una “
Higher” che applica con classe l’immarcescibile lezione dei Rainbow.
“
My redemption” punta gran parte delle sue velleità di attrazione sul
refrain e se questo in effetti si dimostra la vera carta vincente del brano, meno “impressionante” appare nel suo insieme “
Call my name”, formalmente impeccabile e emozionalmente leggermente “fredda” e prevedibile.
Un
gap emotivo immediatamente colmato dall’intensità
bluesy di “
Build this house”, dalle incalzanti ed enfatiche pulsazioni soniche di “L
ive life on the run” e da una “
You don’t know love” che mescola Bon Jovi e Thin Lizzy con considerevole disinvoltura e qualità.
“
Rise” garantisce altre buone vibrazioni e piace per una policromia espressiva che si accentua in “
I can’t believe (That this is love)”, una sorta di
melodic psych prog-metal, nella melodrammatica “
Stand up” e nello splendore barocco della conclusiva “
Tears I cry”, i tre pezzi che legittimano al meglio la definizione “
melogressive hard rock”, con cui i nostri amano descrivere la propria proposta musicale.
Tanta competenza e cultura specifica, una solida compattezza e una consistente intraprendenza espressiva, rendono “
IV evermore” un lavoro degno di grande considerazione … a questo punto (come da consolidata tradizione) sorge spontanea una domanda: non è che riducendo ulteriormente l’intervallo tra le uscite discografiche, i
Constancia raggiungeranno vette artistiche ancora più elevate? Attendiamo di poterlo (eventualmente) verificare …