I baschi
Vhäldemar tornano all'assalto con il loro settimo album, intitolato "
Sanctuary Of Death", dove ritroviamo il nucleo storico, quello composto dal cantante
Carlos Escudero e dal chitarrista
Pedro J. Monge, che hanno mantenuto dritta la barra della band nei suoi venticinque anni di attività.
L'opener "
Devil's Child" sembra un outtake da "Pile of Skulls", anche se poi nel refrain il principale riferimento diventano i Gamma Ray di "Land of the Free", cui si potrebbe indirizzare anche la spedita e robusta "
Dreambreaker", che i
Vhäldemar provano un po' a diversificare piazzando quegli assoli in cui chitarra e tastiere si rincorrono.
Gli anni passano, ma continuo a pensare che l'ugola di
Carlos Escudero si piazzi a metà strada tra Heimi Mikus (cantante dei Risk), Andri Deris e Chris Boltendahl, e in effetti la seguente "
Deathwalker", traccia più articolata e strutturata delle precedenti, proprio i
becchini va a scomodare, e lo fa con risultati più che discreti, lestamente replicati dalla titletrack che torna a guardare al songbook di Kai Hansen e soci.
Ai tempi del loro esordio, questa rimarchevole dipendenza dai Gamma Ray e più in generale dal Teutonic Power Metal, mi aveva portato a bacchettare (ammetto... forse eccessivamente) l'esordio "Fight to the End" (2002), ma i
Vhäldemar hanno nel tempo dimostrato di essere davvero disposti a combattere
sino alla fine, mantenendosi coerenti con quella che è la loro idea di fare musica e anche di provarci con una propria ben definita identità (per quanto derivativa), andando a realizzare altri sei album, dove sono cresciuti come proposta e nei risultati. Certo l'imprinting ormai è quello, che si tratti di episodi che puntano al lato emozionale, epico su "
Forevermore" o malinconico nella conclusiva strumentale "
The Last Flame", oppure che guardano maggiormente all'impatto, come l'esplicita dichiarazione d'intenti dal titolo "
Heavy Metal" o dell'anthemiche "
Journey to the Unknown" e "
The Rebel's Law". Non manca comunque nemmeno qualche licenza qua e là, come la fuga neoclassica che caratterizza la battagliera "
Old King's Visions (Part VII)" o le atmosfere eleganti che rimandano allo US Metal di "
Brothers".
Più teutonica di alcune band forgiate nell'acciaio della Ruhr, la formazione spagnola prosegue imperterrita nella propria crociata in difesa del True Metal, e questo "
Sanctuary Of Death" merita più di una chance.
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