Inutile nasconderlo … chi ama il
rock melodico “classico” non può non essere anche un po’ “nostalgico”, evocando un’epoca segnata, nell’immaginario collettivo, da speranze incrollabili e ottimistiche aspirazioni, in cui la colonna sonora è intrisa di ritornelli memorabili, candido romanticismo e melodie ad ampio respiro, il tutto innervato da opportune sferzate di testosterone sonico.
Il problema, se così vogliamo chiamarlo, è che riproporre nel 2024 certe sonorità (e le relative ambientazioni …) con un’efficacia degna della storia del genere è piuttosto complicato, almeno se assieme a garantire l’adeguatezza formale si vuole anche evitare la comparsa di fastidiosi effetti parodistici.
Tra le formazioni in grado di celebrare in maniera credibile questo “tuffo nel passato” ci sono sicuramente i
Find Me, arrivati al quinto
album senza mostrare flessioni davvero degne di nota.
Poter contare sulla voce di
Robbie LaBlanc, che sembra stata forgiata per la suggestione emotiva dei cultori del settore, rappresenta ovviamente un eccellente “punto di partenza”, ma è altresì innegabile come la
partnership con
Daniel Flores sia diventata un’assoluta garanzia di affidabilità e validità artistica.
Se aggiungiamo che a “
Nightbound” ha concesso il suo nobile apporto compositivo anche un “certo”
Jim Peterik,
beh, credo che i dubbi residui (eventuali) sui contenuti dell’opera siano pienamente fugati, tenendo conto, inoltre, che uno di questi contribuiti è “
I see you in everyone”, una delle tante (per non dire tutte …) gemme sonore incastonate tra i solchi di “
Vital signs” (dei Survivor, per gli “alieni” impegnati nella lettura …).
E allora cominciamo proprio da qui, sottolineando come
LaBlanc sia uno dei pochi cantanti attualmente presenti sul globo terracqueo in grado di non sfigurare nei confronti di
Jimi Jamison, magnificando il clima passionale e soffuso di una splendida ballata crepuscolare.
Proseguendo nella contribuzione
Peterik-esca, si arriva alla solare “
Love always finds a way” e all’inno simil-mistico “
Walk through the fire”, rilevando poi come anche altrove l’influenza “ispirativa” di
Mr. Survivor sia fatalmente pressante, alimentando, per esempio, la
verve “motivazionale” di “
Never be alone” o l’enfasi corale di “
Speechless”.
In un contesto espressivo chiaramente delineato, “
Can't wait here anymore”, “
Distant lovers” e la
title-track del disco sono quanto di meglio si possa trovare nell’ambito dell’
hard melodico
yankee a ventiquattro carati, mentre chi predilige analoghi livelli di pregio esposti in domini più squisitamente “adulti” apprezzerà sicuramente l’adescante
refrain di “
Said and done”.
In ossequio al carattere fortemente “cinematografico” di “
Nightbound”, non è difficile immaginare di veder scorrere i suoi titoli di coda sulle piacevolezze “
Savage blue” e “
The time has come”, lasciando nell’astante appassionato (anche in quello più severo …) la sensazione netta che il mondo potrà correre fino a sfiancarsi e abbandonarsi senza ritegno al culto della tecnologia, ma certi suoni e talune atmosfere non perderanno mai il loro fascino primigenio.
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