Noen Hater Oss, traducibile come
"qualcuno ci odia", sono il progetto musicale del musicista norvegese
Raum, che dopo la dipartita di
Morloc, da duo è divenuto one-man band.
Raum rilascia proprio in questi giorni di settembre, tramite la
Dusktone, il quarto full-length della sua creatura:
"Kunsten aa gjoere jorden ubeboelig".
Questa nuova fatica targata
Noen Hater Oss vede un leggero cambio stilistico nelle vocals, a causa, ovviamente, della mancanza di
Morloc, che
Raum sostituisce adottando una voce "pulita", altisonante, piuttosto baritonale e dai toni apocalittici, dove quasi appare declamare le liriche piuttosto che cantarle. In ogni caso i due cantanti, escluso il fatto che il primo adottava un misto tra growl e scream, per quel che riguarda le altre caratteristiche di cui abbiamo fatto menzione, risultano pressappoco concordanti.
L'album si gioca su strutture tipicamente norvegesi ancorate al Black Metal atmosferico degli anni '90, unite ad alcuni toni epici ed evocativi sull'onda lunga dei
Bathory dell'era Epic/Viking, richiami ai
Celtic Frost e ai
Venom dei tempi di
"At War with Satan" (1984) e, personalmente, ho avuto anche qualche reminiscenza delle liriche folcloristiche degli
Isengard.
Il songwriting di
"Kunsten aa gjoere jorden ubeboelig" è piuttosto elaborato, e spazia perlopiù su ritmiche dilatate adatte alla coloritura suggestiva, e costantemente improntata alla declamazione, piuttosto che in dinamiche classiche con tremolo, blast beats e tupa tupa ripetuti all'infinito – sia chiaro, comunque, che non sono di certo assenti. Molteplici risultano perfino gli intrecci melodici e atmosferici, i frangenti soffusi, i ricami acustici che impreziosiscono la materia nera alla base della loro musica. Vi si affiancano, inoltre, passaggi vicini al Doom poi infranti dalle tipiche sfuriate iconoclaste – a cui facevamo cenno poco sopra –, bensì senza mai scadere in un loro abuso, anzi, al contrario, ne viene sapientemente centellinata l'utilizzazione.
Nel complesso, l'elemento che più risalta è il senso di solennità e desolazione che permea l'opera; una solennità ammantata dal suono avvolgente dei synth, da voci corali in sottofondo… e molto altro. A riprova di ciò, provate ad ascoltare
"Oderint dum metuant"… dove tra le varie cose, non possiamo non notare il retaggio di
"Filosofem" (1996).
"Kunsten aa gjoere jorden ubeboelig" è un lavoro solido e al contempo, a suo modo, estroso (basti pensare ad alcune soluzioni solistiche), e si presenta come un adeguato anello di congiunzione tra la fiamma nera tradizionale – di cui mantiene, pressoché invariate, quelle che sono le peculiarità che l'hanno resa celebre – e quella del nuovo corso. Questo poiché le particolarità stilistiche, di cui abbiamo disquisito nel nostro articolo, confluiscono all'interno di un involucro sonoro (la produzione) perfettamente intelligibile e dal taglio moderatamente attuale; volendo azzardare una pietra di paragone, siamo sulla scia, pur con le dovute differenze, dei connazionali
Whoredom Rife di cui vi ho reso conto anche qualche mese fa sulle nostre pagine.
Un LP indubbiamente di livello superiore alla media.
Recensione a cura di
DiX88
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