Mi è permessa un’apertura polemica su un tema secondario?
Un passaggio della
bio tratteggia il nuovo disco dei
Tribulation come una sorta di ibrido tematico a cavallo tra “l’horror psicologico del cinema italiano, il
goth britannico e l’opulenza dell’
Art Deco”.
La mia domanda è dunque la seguente: partendo da immaginari così affascinanti e zeppi di suggestioni sotto il profilo visivo, com’è stato possibile realizzare un
artwork così incredibilmente povero? Davvero nessuno si è accorto che minimalismo e sciatteria sono separate da una linea di discrimine tutt’altro che labile?
Presumo che i quesiti rimarranno senza risposta in eterno -giusto per rimanere sul pezzo-, quindi tanto vale concentrarsi sulla musica; musica che, peraltro, presenta molti più spunti di discussione rispetto a quella meschina croce scagliata contro uno sfondo nero random.
Già, perché non arrivo a dire che “
Sub Rosa In Aeternum” bruci in via definitiva i ponti col passato, ma di certo imprime alla parabola artistica della compagine svedese una
decisa svolta verso l’ammorbidimento del
sound.
Che il sentiero imboccato fosse quello, ad onor del vero, lo si poteva intuire da un po’: la macabra brutalità degli esordi era ormai un lontano ricordo, ed alcune atmosfere soffuse del precedente
EP “
Hamartia” (il primo senza l’apporto di
Jonathan Hultén) lasciavano presagire un ulteriore passo in avanti nella direzione dell’accessibilità.
Sappiate comunque che, nonostante le avvisaglie di cui sopra, il primo passaggio in cuffia vi lascerà quasi certamente esterrefatti: distorsione della chitarra ai minimi storici, ritmo medio dei brani rallentato anzichenò, brani dalla strutturazione classica che più classica non si può,
vocals in clean alla
Fernando Ribeiro -benché non in via esclusiva-, tonnellate di influenze
dark wave anni ’80, e addirittura ritornelli
catchy con tanto di coretti in sottofondo.
Tanto per scendere ancor più nello specifico: il singolone “
Murder in Red” si incastonerebbe alla perfezione in una puntata di “
Stranger Things”; “
Time & the Vivid Ore” sembra provenire da una pagina strappata al songbook dei
Ghost; “
Hungry Waters” rimanda nientemeno che ai the
69 Eyes più goticheggianti, mentre la strofa di “
Reaping Song” potrebbe condurre ad una telefonata da parte dei legali di
Nick Cave.
Per il resto, citofonare senza indugi a
Bauhaus e
Fields of the Nephilim.
Urge, a questo punto, un chiarimento: l’impronta melodica e stilistica dei Nostri, seppur trasfigurata, rimane comunque distinguibile, tanto che basteranno pochi secondi di “
Tainted Skies” o “
Drink the Love of God” per fugare ogni dubbio sulla loro appartenenza.
Così come, a parere di chi scrive, non si è smarrita la capacità compositiva di un
combo che, nel corso degli anni, ha ampiamente dimostrato di saper confezionare
album di altissimo livello. Semplicemente, tale capacità è stata posta al servizio di una miscela sonora (molto) meno metallica rispetto al passato.
Quanto ciò sia grave lo lascio giudicare ad ognuno di voi; chi scrive amava i primi
Tribulation, quelli mediani e, come avrete intuito dal voto in calce, apprezza anche quelli odierni.
Scopriremo nei prossimi anni se “
Sub Rosa In Aeternum” costituirà il classico strappo isolato o, al contrario, il trampolino per una nuova fase.
Io, nel frattempo, me lo ascolto un’altra volta, ma ad occhi chiusi per evitare che si posino sulla copertina…