L'Italia è da sempre culla di interessanti proposte in campo Power Symphonic Metal, con molte di queste che hanno trovato l'appoggio dell'
Underground Symphony.
Tocca ora ai
DreamGate, alle prese con l'omonimo album d'esordio, formazione dove ritroviamo diversi volti noti e che hanno diverse esperienze in comune, infatti dietro al microfono ecco
Fabio Brunetti (Edran), accompagnato da
Alessandro Battini (Dark Horizon, Ghost City, Sangreal, Mindfar) alle tastiere, dal batterista
Gianluca Capelli (ex-Dark Horizon, Arda), il chitarrista
Armando De Angelis (Mindfar, Ghost City) e
Micael Branno (Ghost City, Mindfar) al basso, e già che c'erano hanno coinvolto pure un paio di ospiti,
Anders Skòld (frontman dei Veonity) e
Gianluca Carlini (chitarrista nei Great Master e Sangreal).
L'avere condiviso delle collaborazioni musicali ha ovviamente contribuito ad arrivare preparati al loro primo album, e non solo "
DreamGate" se ne è giovato ma i nostri sono riusciti anche ad evitare un possibile effetto déjà-vu, per quanto resti inevitabile l'accostamento con quanto proposto in passato. Ma non ritroviamo solo quell'eleganza compositiva ed esecutiva già presente su lavori come "Dark Light's Shades" o "Tragic Soul Symphony", ecco anche le marcate influenze helloweeniane (o sono solo io che sento profumo dell'era Keepers?) dell'opener "
Sun King" (dedicata a Luigi XIV), e sempre da quelle parti si resta con "
The Scout of the Empire" (ispirata dal fumetto Dragonero) che accentua la componente epica e cavalleresca. "
Life Is One", e nel proseguo del disco anche "
The Garden of Tears" e la conclusiva "
Belmonts' Fate", evidenziano un solido attaccamento ai
prime mover del movimento Power Metal Italiano, e non avrebbero avuto grosse difficoltà nel trovare spazio su lavori come "Legendary Tales", "Heir of Power" o "Mistress of the Shadowlight".
Confronti importanti, ma come già evidenziato i musicisti che fanno parte dei
DreamGate non sono certo gli ultimi arrivati, e se impressiona - più che positivamente - la prova vocale di
Brunetti, abbiamo solo conferme da parte degli altri componenti.
Alla luce della genesi di "
No Sweat No Glory", mi sarei aspettato un brano anthemico e probabilmente pure un po' pacchiano, infatti, prende titolo dal motto del Club Brugge, squadra di calcio belga che ha dato consenso al suo coinvolgimento, permettendo anche l'inserimento di riprese dell stadio e dei loro tifosi nel video che ne è stato realizzato; invece "
No Sweat No Glory" non ci fa "sudare" poi molto, preferendo tenere il timone dritto verso un corale ed elegante Symphonic Power sound. Così il colpo di reni giunge con la seguente "
The Lost Symbol" (dal romanzo di successo scritto da Dan Brown), con le sue pulsioni progressive, chitarra e synth a duettare, e la presenza come guest vocalist del già citato
Anders Skòld, per poi tornare con la titletrack a una revisione delle influenze helloweeniane, evidenti soprattutto a livello corale, con un approccio ad alto tasso melodico tale da far pensare ai Freedom Call. Con "
The All (The Magic of the Silver Dew)" l'approccio si fa più ruvido e caratterizzato da una maggior velocità esecutiva, un episodio che a mio parere deve molto ai Dark Horizon e con un grande appeal melodico dato dall'apporto del pianoforte e di quel break suggestivo ben interpretato da
Brunetti, una soluzione che caratterizza anche "
Ball and Chain", brano che a dispetto di un titolo che potrebbe far pensare più agli Accept o ai Raven, si rivela invece una ariosa ballad orchestrale.
Con "
DreamGate", le porte si aprono ad un sogno accompagnato da visioni oniriche, soffuse e serene, preferite a incubi angoscianti, soprattutto immune da quei
Rapid Eye Movement che forse avrebbero messo un po' di pepe in più, magari anche a livello di suoni, a quello che è e resta comunque un ottimo esordio.
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