Copertina 7,5

Info

Anno di uscita:2024
Durata:47 min.
Etichetta:Apollon Records

Tracklist

  1. SUN
  2. HARD TO JUSTIFY
  3. COLORFUL WHITE LIES
  4. SEVEN WONDERS
  5. WASTED
  6. GO EASY ON MY HEART
  7. CYCLONE
  8. ROYALS IN RAGS
  9. CROOKS
  10. ROUGH DIAMOND
  11. WEEPING GODS
  12. HEAR ME OUT
  13. SIREN'S LULLABY

Line up

  • PV Staff: vocals
  • Olav Iversen: vocals
  • Marius Mørch: guitars
  • Einride Torvik: bass
  • Tor Helge Opdahl: drums

Voto medio utenti

Led Zeppelin, Humble Pie, Aerosmith, James Gang e Kinks e poi Wolfmother, Jack White, Rival Sons e magari anche qualcosa dei Sahg (Olav Iversen canta anche lì) … c’è un po’ di tutta questa bella “roba” nella proposta degli Electric High, ennesimo parto artistico di Bergen, una delle città musicalmente più prolifiche del Vecchio Continente.
Coordinate sonore abbastanza diffuse, che però nelle mani dei nostri norvegesi riescono a raccordare piuttosto bene il passato e il presente del “rock classico”, all’interno di un disco, questo “Colorful white lies”, capace di mettere d’accordo diverse generazioni di estimatori del genere, compresi gli smaliziati (nonché spesso un po’ pretenziosi) esponenti di quella più “matura”.
Due cantanti (il secondo è Per Vidar Staff), tra duelli e alleanze sempre efficaci ed espressivi, un chitarrista (Marius Mørch, già membro di Hotel Hotel, Faith Circus e The Highrollers) abile “macinatore” di riff e assoli ficcanti e sensibili, e una sezione ritmica (formata da Einride Torvik e Tor Helge Opdahl) solida e pulsante, riescono nell’intento di tenere l’astante appassionato inchiodato all’ascolto grazie ad una opportunamente variegata serie di incisive soluzioni melodiche, in una summa di revivalismo mai posticcio o povero di pathos.
Sun” spalanca il programma in maniera esplosiva, evocando una sorta di jam session tra Motorhead e Backyard Babies, seguita da una “Hard to justify” che invece avvolge l’ascoltatore con il suo groove bluesy denso e accattivante, alla maniera dei The Black Kyes.
Su un’analoga linea espressiva si pone la title-track dell’opera, resa ancora più orecchiabile (e qui sono i White Stripes a balenare nella memoria) dalle scansioni ritmiche e dal clima fuzzoso e magnetico, mentre con “Seven wonders” il gruppo striscia nei sensi con le sue palpitazioni sixties, esaltate da una linea armonica d’immediata assimilazione.
Wasted” aumenta il numero dei giri e la grinta, ma non riduce il contagio emotivo, lo stesso che ritroviamo in “Go easy on my heart”, che rilegge in modo piuttosto persuasivo i sacri dogmi dell’hard-blues, e in “Cyclone”, che piacerà soprattutto agli estimatori di certi Primal Scream.
Se Free e ZZ Top avessero avuto l’occasione di condividere una sessione di registrazione, il risultato non sarebbe stato troppo dissimile da “Royals in rags” e a chi predilige i suoni viscosi degli acquitrini statunitensi è dedicata “Crooks”, un atto di devozione perpetrato con passione e competenza.
Le alternanze vocali, le scorie funky e i ritmi sincopati di “Rough diamond” finiranno per farvi scuotere all'istante il deretano (magari in contesti “privati” …) e ai fans delle sonorità torbide e possenti consiglio l’ascolto di “Weeping Gods”, una via di mezzo tra stoner e gospel, piuttosto “impressionante”.
Sbuffi di psichedelia, rilevabili nelle irrequiete “Hear me out” e “Siren's lullaby” concludono “Colorful white lies”, collocando gli Electric High tra quei tradizionalisti del rock n’ roll che trattano i cliché con brillante sagacia e si dimostrano apertamente ostili alle nostalgie plastificate e ai riciclaggi fittizi.
Recensione a cura di Marco Aimasso

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