Led Zeppelin, Humble Pie, Aerosmith, James Gang e Kinks e poi Wolfmother,
Jack White, Rival Sons e magari anche qualcosa dei Sahg (
Olav Iversen canta anche lì) … c’è un po’ di tutta questa bella “roba” nella proposta degli
Electric High, ennesimo parto artistico di Bergen, una delle città musicalmente più prolifiche del
Vecchio Continente.
Coordinate sonore abbastanza diffuse, che però nelle mani dei nostri norvegesi riescono a raccordare piuttosto bene il passato e il presente del “rock classico”, all’interno di un disco, questo “
Colorful white lies”, capace di mettere d’accordo diverse generazioni di estimatori del genere, compresi gli smaliziati (nonché spesso un po’ pretenziosi) esponenti di quella più “matura”.
Due cantanti (il secondo è
Per Vidar Staff), tra duelli e alleanze sempre efficaci ed espressivi, un chitarrista (
Marius Mørch, già membro di Hotel Hotel, Faith Circus e The Highrollers) abile “macinatore” di
riff e assoli ficcanti e sensibili, e una sezione ritmica (formata da
Einride Torvik e
Tor Helge Opdahl) solida e pulsante, riescono nell’intento di tenere l’astante appassionato inchiodato all’ascolto grazie ad una opportunamente variegata serie di incisive soluzioni melodiche, in una summa di
revivalismo mai posticcio o povero di
pathos.
“
Sun” spalanca il programma in maniera esplosiva, evocando una sorta di
jam session tra Motorhead e Backyard Babies, seguita da una “
Hard to justify” che invece avvolge l’ascoltatore con il suo
groove bluesy denso e accattivante, alla maniera dei The Black Kyes.
Su un’analoga linea espressiva si pone la
title-track dell’opera, resa ancora più orecchiabile (e qui sono i White Stripes a balenare nella memoria) dalle scansioni ritmiche e dal clima
fuzzoso e magnetico, mentre con “
Seven wonders” il gruppo striscia nei sensi con le sue palpitazioni
sixties, esaltate da una linea armonica d’immediata assimilazione.
“
Wasted” aumenta il numero dei giri e la grinta, ma non riduce il contagio emotivo, lo stesso che ritroviamo in “
Go easy on my heart”, che rilegge in modo piuttosto persuasivo i sacri dogmi dell’
hard-blues, e in “
Cyclone”, che piacerà soprattutto agli estimatori di certi Primal Scream.
Se Free e ZZ Top avessero avuto l’occasione di condividere una sessione di registrazione, il risultato non sarebbe stato troppo dissimile da “
Royals in rags” e a chi predilige i suoni viscosi degli acquitrini statunitensi è dedicata “
Crooks”, un atto di devozione perpetrato con passione e competenza.
Le alternanze vocali, le scorie
funky e i ritmi sincopati di “
Rough diamond” finiranno per farvi scuotere all'istante il deretano (magari in contesti “privati” …) e ai
fans delle sonorità torbide e possenti consiglio l’ascolto di “
Weeping Gods”, una via di mezzo tra
stoner e
gospel, piuttosto “impressionante”.
Sbuffi di psichedelia, rilevabili nelle irrequiete “
Hear me out” e “
Siren's lullaby” concludono “
Colorful white lies”, collocando gli
Electric High tra quei
tradizionalisti del
rock n’ roll che trattano i
cliché con brillante sagacia e si dimostrano apertamente ostili alle nostalgie plastificate e ai riciclaggi fittizi.