Altro giro altra corsa.
Certo che quello fatto dai
Pyracanda è stato un percorso fin troppo lungo.
Infatti, si sono formati a Coblenza, una delle più antiche città tedesche, nel lontano 1987 e dato alle stampe due LP nei primi anni del decennio seguente, "Two Sides of a Coin" (1990) e "Thorns" (1992), poi ... niente più. Perlomeno sino al 2017 quando hanno ricominciato a far riparlare di loro, andando a recuperare per un singolo "The Dragon's Cult" dal già citato "Thorns", dopo ci sono voluti altri sette anni prima di vederli alle prese con brani inediti, un paio di singoli ("
Don't Wait For" e
"Hellfire") che hanno fatto da apripista al terzo album "
Losing Faith", da poco uscito per la
FHM Records.
Della formazione che incise i precedenti lavori ritroviamo il chitarrista
Dennis Vaupel, il bassista
Dieter Wittbecker ed il cantante
Johannes Muhs, terzetto che chiusa l'esperienza con i
Pyracanda si era rimesso in gioco prima nei G-Reizzt e poi con gli Ilex, nei quali ha militato anche il batterista dei Caliban,
Patrick Grün, che assieme all'ultimo arrivato, il chitarrista
Frank Pelkowski, ha completato l'attuale line-up dei
Pyracanda.
Da segnalare come nelle loro fila siano passati due chitarristi che hanno trovato fortuna altrove, Sven Fischer che dopo aver suonato sui due succitati dischi era poi entrato nei Rage (partecipando così a dei classici come "Black in Mind" e "End of All Days") e l'attuale chitarrista dei Caliban Denis Schmidt.
Mi sono dilungato, forse un po' troppo, sugli aspetti biografici, ritardando così l'analisi di "
Losing Faith", che - bene dirlo subito - al primo ascolto non mi ha entusiasmato, anche se in seguito è via via cresciuto con il passare degli ascolti.
E' subito evidente che i
Pyracanda non hanno tirato i remi in barca, il loro resta un Thrash Metal aggressivo, corredato da un insistito approccio corale che deve non poco alla lezione degli Anthrax (vedasi "
Don't Wait For" e soprattutto "
History Twister") e da una ritmica ben scandita, soluzioni che contribuiscono a rendere più attuale la loro proposta. L'influenza dei Metallica è ancora avvertibile, nel songwriting, nelle scelte soliste di
Vaupel e specialmente nell'approccio dietro al microfono di un mai domo
Muhs, come ben evidenziano le linee vocali della già citata "
Hellfire" o della stessa titletrack. Si punta sempre alla Bay Area, però l'accostamento ora è con i Megadeth, rafforzato dagli arpeggi e dallo sviluppo di una "
Mouth Warrior" che però si perde in qualche passaggio contorto e in un refrain che deve molto alla N.W.O.B.H.M. (soluzioni che ritroveremo sulla cadenzata "
Spoke in the Wheel" o nella conclusiva "
Hold On!") mentre è l'anthemica "
We Are More" a svelare l'anima più rockeggiante dei
Pyracanda, che con "
What Builds My Pride" inizialmente sembrano addirittura andare a scomodare i Led Zeppelin e poi ci costruiscono sopra uno dei pezzi più riusciti dell'album, con ancora una gran prova di
Mesh.
Ma tutte le canzoni lasciano trasparire la cura con cui sono state studiate, una maniacale attenzione ai dettagli e agli arrangiamenti, e quelle che ne hanno beneficiato maggiormente sono state a mio parere la cupa e pulsante (grazie ai tratteggi di
Wittbecker) "
Misanthrope" e proprio "
What Builds My Pride", evidenziando gli sforzi fatti dalla formazione tedesca di attualizzare il proprio sound senza limitarsi a ripresentarsi come se si fosse ancora nel 1992.
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