Dopo un paio di album dove la formazione svedese sembrava andare un po' con il pilota automatico, gli
Astral Doors hanno messo a riposo il buon Otto (lasciato alle attenzioni di Elaine Dickinson) prendendosi in toto le redini del nuovo "
The End Of It All".
Non che abbiano stravolto chissà come quanto proposto nei precedenti altri nove album, infatti, attivi da più di venti anni, e con una line-up alquanto stabile, era inimmaginabile pensare che si lasciassero alle spalle quell'ormai distintivo sound arroccato sull'influenza di Rainbow, Black Sabbath (quelli del periodo post Ozzy) e Deep Purple.
Quello che troviamo in più su "
The End Of It All" sono una convinzione ed una efficacia che ultimamente erano un po' mancate, il resto c'è… e c'è sempre stato, da "Of The Son And The Father" in avanti: la passione per la musica, un songwriting capace (quasi sempre a cura della premiata ditta
Lindstedt & Nordlund) ed un cantante che in tanti gli invidiano (e che talvolta hanno anche condiviso) quale
Nils Patrik Johansson, il tutto per dare vita ad un disco di vecchio e sano Metal & Hard Rock suonato con energia e freschezza.
Dietro una copertina "fintamente" fantasy, ma che prova a riassumere in un'immagine perché si possa pensare di essere alla vigilia (ai "Two Minutes to Midnight" di maideniana memoria) della fine del Mondo, si cela un album in linea con i precedenti, forse un po' più cupo e meno veloce del solito. E aggiungerei anche in controtendenza con le più recenti uscite parallele che coinvolgono i musicisti della band e guardano maggiormente al Melodic Rock, come "Beyond The Dream" (uscito nel 2020 per i Joachim Nordlund's Dreams Of Avalon) e "Echoes Of An Era" (2022, dei Drive At Night) o ad una proposta più moderna come quelle dei Freaks and Clowns.
Ma quando poi attacca "
Temple of Lies" ecco che ritroviamo i "nostri"
Astral Doors, subito rutilanti e incalzati da una solida sezione ritmica qual è quella composta da
Ulf Lagerström e
Johan Lindstedt, poi presi per mano da un sontuoso e inconfondibile
Johansson, almeno sino a che non sono le chitarre di
Joachim Nordlund e
Mats Gesar a prendersi la scena. Che dire... una gran prova d'assieme che spazza ogni nuvola grigia che incombeva sugli
Astral Doors che da qui in avanti snocciolano tutto il loro repertorio, passando via via dalle anthemiche "
Iron Dome" (passionale ed intensa) e "
Vikings Rise" (più epicheggiante e ben drappeggiata dalle tastiere di
Jockim Roberg), ad una "
Heaven's Gate" che si piazza a metà strada tra i Saxon e il Ronnie James Dio solista, decollando (anche a livello lirico) con la agguerrita e corale "
Masters of the Sky" per poi affrontare la minacciosa titletrack, che si avvia con degli arpeggi inquietanti e poi prende velocità spronata da quel senso di urgenza che gli
Astral Doors sembrano voler comunicare.
"
Father Evil" è un brano cupo e potente, tanto da generare quel vortice temporale che ci riporta ai fasti di "Evil Is Forever" o "New Revelation", con un effetto déjà-vu tutto sommato piacevole e che non svanisce nemmeno con la seguente "
When the Clock Strikes Midnight" (...arièccoci), dal passo vagamente claustrofobica. Decisamente più ariosa la settantiana "
A Night in Berlin", anche questa ben tratteggiata dall'Hammond di
Roberg e che va a rievocare una (dis)avventura accaduta alla formazione svedese nella capitale tedesca, mentre i ritmi si fanno più serrati nella conclusiva "
A Game of Terror", che a metà del suo percorso si accende proprio in occasione degli assoli di chitarra dando così il via ad un finale accalorato, contesto dove
Johansson dimostra di trovarsi totalmente a proprio agio.
Ho sempre avuto un debole per gli
Astral Doors, e ora mi ricordo anche perché.
Speriamo però che non tengano fede al titolo del loro decimo album e che "
The End Of It All" non sia profetico e lasci spazio a ulteriori uscite discografiche e soprattutto che conceda un altro po' di tempo a questo vecchio pazzo mondo.
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