Ci sono gruppi musicali che “esplodono” immediatamente, che già con il primo lavoro sembrano aver trovato l’apice della creatività, quel momento “perfetto”, magari anche un po’ “fortuito”, in cui tutto funziona per il verso giusto, salvo poi, in qualche caso (ovviamente non è una regola matematica ma succede abbastanza di frequente e a vari livelli) non riuscire più a ripetersi con la stessa convinzione.
Escludendo le bands che invece non riescono ad andare oltre alla mediocrità nonostante il susseguirsi delle prove, ve ne sono altre, infine, che hanno bisogno di più tempo per esprimere compiutamente il proprio potenziale, di maturare e far crescere il proprio suono in modo lento, ma sostanzioso e sostanziale, come una creatura che già piuttosto forte alla nascita, acquisisce ulteriore fermezza sulle gambe, solidità nei muscoli e sebbene ancora “adolescente”, è alla fine pronta per correre senza temere la concorrenza neanche dei più accreditati campioni del settore di competenza.
Ritengo che i The Sun Of Weakness possano essere inseriti proprio in quest’ultima categoria e malgrado personalmente conosca solamente due dei tre step evolutivi (vedasi i demo prodotti finora) del combo laziale, la crescita evidenziata tra il precedente “At the edge of shine”, già di per sé alquanto buono e questo nuovo “Landescape”, appare alle mie orecchie veramente significativa.
Le rilevanti doti dei The Sun Of Weakness (i quali, ricordiamolo, hanno solamente tre anni di “vita” alle spalle) sono oggi superbamente coordinate, spariscono completamente le incertezze vocali del cantante Alessandro Cammilletti, che è sempre più credibile nel ruolo di cantore “dell’inquietudine” e pure gli influssi di Anathema, così importanti nell’economia della proposta artistica del gruppo, vengono, al momento, talmente ben inseriti nel contesto generale, da meritare, nel caso, anche la completa approvazione dei fratelli Cavanagh.
La fantastica “Floating deserts”, “Chemical frustration”, la magnifica vivacità “decadente” di “Drop”, il breve strumentale “Drown in a whirl” e le vibrazioni passionali di “Hysterical mistake”, rappresentano cinque piccoli distillati di dolce e profonda emozione, fascinosi momenti di struggente languore malinconico, di uno “spleen” emozionale liquido e immaginifico, dove c’è ancora spazio per quella speranza che scalda il cuore come fa il primo vivido e tiepido raggio di sole quando lacera le nubi dopo un lungo periodo di grigiore metropolitano.
“Landescape” è un dischetto assai “consapevole”, “impegnato”, suonato da musicisti di grande sensibilità e tecnicamente irreprensibili, equilibrato anche dal punto di vista squisitamente sonoro (registrazione affidata a Flavio Scipione e mixaggio/mastering a cura di Giuseppe Orlando nei rinomati Outer Sound Studios di Roma), un trampolino che potrà (e dovrà, se non c’è un’epidemia d’otite tra gli addetti ai lavori!) portare il 5-pieces di Civitavecchia a fare quel salto di “qualità” discografico, che a questo punto merita senza discussione.
Qualcosa mi dice che il percorso formativo dei nostri non si è ancora completato del tutto e, a questo punto, non vedo l’ora di poterlo verificare direttamente, poiché credo che insieme a Klimt 1918, A Room With A View, Novembre e pochissimi altri, molto presto bisognerà citare anche il nome dei The Sun Of Weakness per indicare la splendida “via” italiana al cosiddetto gothic rock.

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