Ben cinque anni son passati dall'ultima prova in studio dei
Grand Magus, un esteso lasso di tempo al quale gli svedesi non ci avevano abituato, in quanto soliti pubblicare una nuova fatica ogni due/tre anni. Complice anche lo sfortunato intervallo dettatto dalla pandemia, per far sì che
'Sunraven' vedesse la luce, come bene esplicitato anche dal guerriero in copertina che si staglia contro il cielo. Non che comunque il terzetto, ormai ben consolidato da più di dieci anni con l'ingresso di
Ludwig Witt alla batteria nel 2012, ci abbia mai abituato a release sottotono, anzi. Chi ha avuto modo di ascoltare anche per sfuggita un paio di pezzi della band, fatta eccezione per i primi album maggiormente improntati sullo stoner, sa che stiamo parlando di un tocco estremamente debitore ai Manowar, sia in termini di heavy metal crudo e diretto ma anche con quel senso di epicità che, da fin troppo, manca agli americani, senza però mettere da parte altre band dal tocco prettamente true, come possono essere Grave Digger e Cloven Hoof. Ancora, l'impronta dei
Grand Magus è riconoscibile su nuove leve come i Visigoth e Eternal Champion.
A conti fatti quindi, questo
'Sunraven' com'è, diverso dai precedenti? Anche in questo caso, se conoscete la band sapete già la risposta. Squadra che vince, o meglio dire metodo, non si cambia. Questo è il mantra degli svedesi oramai da molto, ma questo non toglie che sia sempre vincente. Il risultato è un album molto asciutto, 35 minuti complessivi di durata in cui sono racchiusi tutti gli elementi che hanno reso famosi i
Grand Magus. Si passa dalle cadenzate
'The End Belongs To You', con un grande assolo verso la fine che sembra precludere al termine di una battaglia, e
'The Wheel Of Pain', alle più veloci ed immediate
'Skybound' e
'Grendel' che non brillano certo per originalità, non solo nel repertorio ultraventennale del gruppo, ma anche in generale, ma dove si sente che nulla è fatto tanto per fare, si riesce a percepire distintamente la passione.
Particolarmente efficace e costruita su una linea di basso quasi teatrale è
'The Black Lake', con una grande prova dietro il microfono da parte di
JB Christoffersson, dall'ugola sempre riconoscibile, perfetta per il tipo di proposta e che difficilmente potrebbe mai essere sostituita nel sound della band.
'Hour Of The Wolf' prosegue il discorso con un vero e proprio attacco frontale che non lascia prigionieri, dove anche qui brevi spazi melodici che sanno di preparazione alla battaglia sono inseriti bene e non sfigurano, anzi. Unico neo di tutto l'album, è una produzione generalmente pasticciata, che sopratutto sulle chitarre e la batteria non rende giustizia a quello che, con una maggiore dose di impegno (attenzione, non sto affermando che doveva esserci la solita produzione plasticosa alla Nuclear/Napalm) poteva risultare un prodotto molto più omogeno allascolto.
Tolto questo difetto però,
'Sunraven' è la solita, confortante prova che i
Grand Magus sono rimasti quelli che ricordavamo. Battaglieri, fieri, e incuranti delle mode, e ancora con la giusta ispirazione dalla loro. Sempre avanti così.
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