Vrag è un progetto ungherese dedito al Black metal, nato nel 2010, come iniziativa solista del musicista
Vrag che ha scelto di esprimere la sua intensa misantropia e il suo disprezzo per i valori moderni, attraverso un sound oscuro ispirato all'immortale fiamma nera degli anni '90.
Nel corso del tempo,
Vrag ha pubblicato demo, split e album in studio, di cui l'ultimo
"Rendületlenül" (2024), registrato e prodotto autonomamente presso il
Forest Studio e rilasciato tramite la
Filosofem Records (non vi sfugga il dettaglio), rappresentante la sua quarta opera principale.
Chiamatemi pure nostalgico, ripetitivo, patetico – al di là che dei giudizi altrui mai mi sono interessato – ma questo tipo di uscite continuano a scaldarmi il cuore e non posso far altro che promuoverle a pieni voti, soprattutto quando un musicista scende in campo a gamba tesa con una qualità così elevata.
Fottutissimo Black metal maledetto, dai tratti fortemente atmosferici, benché qui non si indugi in eccessi di diluizioni sonore o in suite drone ambient. Un distillato nero che personalmente mi ha inebriato fin da subito…
Ancora non so resistere ai richiami che, un certo minimalismo compositivo dal moto ciclico, portano con sé di capolavori come
"Feeble Screams from Forests Unknown" o di
"Spell of Destruction"; oppure a ricongiungimenti così ben fatti con i frangenti più oscuri e poetici di
"A Blaze in the Northen Sky" (1992) e
"Under a Funeral Moon"(1993), con la dimensione magica dei primissimi
Satyricon e l'amuleto di ghiaccio che illumina i passaggi più misteriosi ed evocativi dei
Mayhem.
Non si deve tuttavia pensare al mediocre lavoro di uno dei tanti copiatori, poiché, se i retaggi su cui abbiamo focalizzato l'attenzione risultano nitidi, lo è perfino la capacità di soggettivazione dell'ungherese che, con grande fedeltà alla causa, oltre a riadattare ai tempi ultimi il verbo sacro ed elitario dell'arte scandinava, vi incide a fuoco la sua anima, la propria abilità compositiva. Un'abilità che riesce nell'impresa di dipingere paesaggi desolanti, mistici, dal monocromatismo gelido, nero – che tanto è caro al
Nostro genere –, facendoli coesistere con un'essenzialità sonora portante con sé la gemma preziosa di un'eleganza orecchiabile, sempre viva e presente, in tutti i circa quaranta minuti su cui si articola
"Rendületlenül".
L'insieme scorre fluido, con grande naturalezza, in un bilanciamento di calibrazioni perfette tra violenza, poesia e sospensione eterea, non conoscendo soluzioni di continuità.
Un magma oscuro che disintegra i colori ordinari della vita, per restituirceli nel monocromatismo di quel misterioso affresco, esprimente la dicotomia quiete / potenza assoluta, che dall'eternità rappresenta la natura primordiale delle terre del Nord.
Se non vi piace non amate il Black metal.
Recensione a cura di
DiX88
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