Non crediate sia semplice, riversare in poche righe, le profonde emozioni trasmesse da un gran bel disco, senza scadere nelle ovvietà più becere, rischiando che le parole perdano il loro peso specifico.
Molto più facile descrivere la delusione scaturita da un album brutto o, tutt’al più, anonimo.
Questa doverosa premessa, per farvi capire quanto sia complicato, per me, parlarvi del nuovo stupendo album dei romani
Vultures Vengeance, intitolato
Dust Age, uscito per la validissima label tedesca
High Roller Records.
Comunque, io ci provo, auspicandomi di non incappare nei pericoli di cui sopra.
La band, guidata da
Tony T.Lee (voce e chitarra), che già in occasione dell’altrettanto magnifico
The Knightlore, aveva stupito tutti per l’elevata qualità della sua proposta musicale, ci spiattella immediatamente in faccia, tramite l’impetuosa title-track, il suo tumultuoso heavy metal sporco, dal sapore epico e dal cuore pulsante, figlio di artisti immortali, quali
Cirith Ungol e
Omen (su tutti), puntando tuttavia, rispetto alla tradizione, più sull’intensità emotiva e sulla cura delle melodie, che sulla sostanza (comunque, sempre presente e di ragguardevole spessore).
I complicati intrecci delle chitarre di
Tony T. Steele e
Tony L.A. Scelzi sono pungenti e affilati come la lama di una daga pronta ad affondare il colpo, ricordando, in qualche circostanza, la maestosità dei
Running Wild dei tempi d’oro ma, con un taglio leggermente più malinconico.
Tali fraseggi, vanno di pari passo con la voce, sofferente e sgraziata (ma perfetta, per lo stile della band) di
Tony, il cui registro vocale, si ispira chiaramente a quello di Tim Baker (ecco svelato il principale motivo della somiglianza coi
Cirith Ungol), ma che, in qualche ritornello, sembra anche richiamare il timbro di Hansi Kürsch. Il “lavoro sporco” invece, viene svolto, più che egregiamente, dalla sezione ritmica, sempre tirata a lucido e priva di cali di tensione, curata da
Matt Savage al basso e
Damian Rage alla batteria.
Tuttavia, come si diceva all’inizio,
Dust Age colpisce, non tanto per le doti tecniche ed esecutive (comunque notevoli) dei musicisti, quanto per il trasporto e l’esplosività emotiva che, attraverso le sue 8 tracce (per una durata totale di circa 42 minuti), vengono sprigionati.
Sensazioni genuine e decisamente intense, dinnanzi alle quali, è impossibile rimanere indifferenti!
Forte, anzi fortissimo, è il richiamo, scaturito dalla musica, di gesta leggendarie, compiute in un’epoca remota, in tutta la loro eroica drammaticità; se ne respira il profumo, si percepisce, in maniera tangibile, il seducente abbraccio della battaglia imminente e si viene inevitabilmente rapiti da quell’atmosfera epica, eccitante e magica, che sfocia in brani tenaci, ma sognanti (
Those Who Sold The World,
Reign Of Severance), irruenti, ma malinconici (
Queen Of The Last Light,
The Exiled o la toccante
It Holds), mai domi, con una struttura in perenne evoluzione (
City Of A Thousand Blades,
The Foul Mighty Temple Of Men), in maniera tale che la tensione venga sempre mantenuta ai massimi livelli.
Dust Age è un emozionante viaggio musicale e mentale ed è anche la conferma che i
Vultures Vengeance, a dispetto della giovane età e della poca esperienza, rappresentano una band emergente di tutto rispetto, piena di entusiasmo genuino e di idee valide; qualità che i Nostri riversano, con una passione viscerale, in questo nuovo disco, circondato, a sua volta, da un’aura maestosa ma, al tempo stesso, di forte impatto sonoro, in cui, tutto sembra essere al posto giusto.
Coloro che, dopo il sorprendente debutto, ritenevano che i
Vultures Vengeance, difficilmente si sarebbero ripetuti ai medesimi livelli, dovranno ora ricredersi.
La band riesce, non solo a eguagliare le vette compositive di
The Knightlore, ma forse, in alcuni frangenti, perfino a superarsi!
Or dunque, non so dire se sono stato in grado di trasformare in semplici parole, il vortice di emozioni trasmessomi da questo sontuoso lavoro; io ci ho provato e, non dovessi aver raggiunto il mio obiettivo, attraverso queste righe, faccio pubblica ammenda.
In ogni caso, che io sia riuscito o meno nel mio intento, vi consiglio caldamente di ascoltare questo disco, dall'inizio alla fine, perchè ne vale veramente la pena ed è l’unico modo per comprendere e toccare direttamente con mano, quanto sia entusiasmante!