È un
Gleb Kolyadin piuttosto diverso dal solito quello dello strumentale
“Mobula”. Echi dell’
esordio emergono nell’introduttiva
“Parallax”, ma è il suono molto brillante (e poco rotondo) dell’antico pianoforte Broadwood a sorprendere, perfetto per i tanti episodi ipnotici dai tratti etnici privi di virtuosismi intricati (
“Glimmer”, “Radiant”).
La world music di
“Dawnlight”, “Fractured” e
“Shimmer” controbilancia le atmosfere cinematografiche di
“Afterglow” e
“Nebular”, mentre le convincenti
“Transient” e
“Tempest” si muovono a cavallo tra i
King Crimson di
“Discipline” e il
Klaus Schulze di
“X”.
Brevi interludi dal carattere rapsodico (
“Observer”, “Crystalline”) preludono al finale lasciato alla spaziale
“Starfall” e a un’atipica ninnananna intitolata
“Gaia”.
Sempre controcorrente, e va benissimo così.
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