Sebbene intitolare “
Bullshit” il proprio settimo
album sottenda da parte dei
WolveSpirit intenti ambiziosi e provocatori (oltre che condivisibili …), una decisione di questo tipo è senz’altro da ritenere “coraggiosa” e potenzialmente autolesionista.
Troppo facile, infatti, ironizzare sulle scelte dei tedeschi qualora i contenuti dell’opera siano pienamente conformi alla sua intestazione, in realtà riferita alle innumerevoli
fake news che contraddistinguono la nostra epoca e al fatto, ancor più grave, che spesso si è più disposti a credere a tali falsità piuttosto che vedere la realtà in tutte le sue sfumature.
Ciò detto, indipendentemente da qualunque altra considerazione, penso che “
Bullshit” sarà accolto con numerose perplessità, sia dagli estimatori della
band e sia dagli eventuali nuovi adepti.
Da valutare c’è innanzi tutto la voce granulosa e aspra di
Debbie Craft, primo elemento verosimilmente divisivo della faccenda, seguito a ruota dalla svolta “modernista”, non sempre pienamente focalizzata, accordata nell’occasione all’
hard-rock del gruppo.
La prestazione della
Craft, in tale contesto, non risulta particolarmente convincente ed è sufficiente, per esempio, ascoltarla inseguire le scansioni sincopate di “
Robots” o destreggiarsi con fatica nella foga
anthemica della
title-track, per rendersi conto delle sue difficoltà, all’interno, e questo è l’aspetto fondamentale dell’intera questione, di una proposta sonora che vorrebbe essere “attuale” e invece suona piuttosto artificiosa e disorganica.
Andiamo meglio quando la
band frequenta i territori più “classici” di “
Titanium” e “
Want you”, mentre la
stoner-esca “
Dragon age”, interessante per il contributo iridescente delle tastiere, sconta un cantato eccessivamente “forzato” e le enfatiche escursioni metalliche di “
Still undefeated”, “
666” e “
Screaming” non si segnalano per particolari picchi espressivi.
Le pulsioni elettroniche di “
Fire” e della cupa "
Braineater” (in cui affiorano barlumi della
neue deutsche haerte) appaiono “esperimenti” intriganti e tuttavia ancora abbastanza confusi, così come non convince del tutto nemmeno il tocco gotico elargito a “
Starborn”.
Con il viscoso ritornello della
bonus-track “
The joker” si esaurisce un programma molto controverso, apprezzabile per i propositi di “rinnovamento” del settore, un po’ meno per come al momento le mette in pratica, autorizzando l’ascoltatore a considerare “
Bullshit” un episodio di transizione nel corposo percorso discografico dei
WolveSpirit …
ah, per essere chiari anche nei confronti di chi volesse fare lo “spiritoso”, segnalo che, nonostante il risultato non esattamente entusiasmante, le vere “
st…upidaggini” nella musica contemporanea sono ben altre.
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