Joan Jett & the Blackhearts, The Pretty Reckless, Halestorm, magari anche un pizzico di No Doubt e Hole … e cioè una miscela tra robuste trame di
rock “classico” americano e
grunge, a cui aggiungere piccoli fremiti
punk e poi intrecciare il tutto attraverso un approccio melodico affabile e
poppettoso.
Un impasto di suggestioni che non costituisce di per sé una clamorosa novità, ma che i
Ginger Evil trattano con competenza, e pure con una certa freschezza e capacità seduttiva.
Merito, innanzi tutto, di un
songwriting di buon livello e subito dopo della laringe assai ispirata di
Ella Tepponen, autrice di una
performance che la rende uno dei tratti salienti di “
The way it burns”, esordio discografico dei finlandesi.
È plausibile presumere che con una voce “diversa”, certi difetti dell’opera sarebbero stati meno "assorbibili", ma allo stesso tempo questa considerazione non deve per nulla affossare il valore complessivo della formazione nordica (da cui emergono le figure del chitarrista
Tomi Julkunen e del bassista
Veli Palevaara, noti per la militanza negli
hard-rockers The Milestones) e del disco.
Con un linguaggio espressivo leggermente più vario e incisivo, oggi parleremo di un probabile
crack della scena di riferimento e tuttavia anche così siamo di fronte ad una dozzina di canzoni piuttosto valide, a partire da una “
Rainmaker” che apre la scaletta come potrebbe fare una
jam session tra Foo Fighters e Pretenders.
“
Dead on arrival” mesce in maniera davvero accattivante
hard e
pop, con la voce della
Tepponen che acquisisce seducenti modulazioni alla
Gwen Stefani, ripetute anche nella contagiosa e trascinante “
Shame old”.
La ballata “
Flames”, con le sue suggestive armonie vocali, giustifica in qualche modo l’accostamento dei
Ginger Evil ai Fleetwood Mac citato nelle note promozionali dell’
album (per la precisione si legge “
dai Foo Fighters ai Fleetwood Mac” … una definizione, alla luce dei fatti, meno iperbolica di quanto si potesse immaginare …), dimostrando come anche nel 2025 si possa produrre una forma raffinata di musica
mainstream attingendo con innato buongusto alla storia del
rock.
“
Hands move to midnight” si sviluppa con le fattezze di un
punk-grunge dalle vaghe sfumature
psych e mentre “
Arrowhead” aleggia leggera su fascinose frequenze sinfonico-romantiche, “
Better get in line” pulsa di scalcianti cadenze
funky, certificando ancora una volta l’efficace duttilità della
vocalist.
Dopo la piacevole foschia che ammanta “
Black waves”, la raccolta sembra perdere parte del suo
grip, e nonostante il vaporoso tocco esotico concesso a “
Whispers”, il brio di “
Not your fool” e le scorie
blues di “
Last frontier”, bisogna attendere la conclusiva “
Wake me” per ritrovare pienamente le facoltà attrattive del gruppo, qui declinate attraverso una passionale struttura armonica che rimanda a certe cose di
Alanis Morissette.
Chiunque ami il
rock n’ roll a 360 gradi, compresa la sua parte più ricreativa, emotiva e “accessibile”, troverà di certo motivi d’interesse e soddisfazione tra i solchi di “
The way it burns”, un albo magari “imperfetto” che consente tuttavia di accendere i riflettori sui
Ginger Evil e sulle loro considerevoli potenzialità artistiche.