La natura stilistica vagamente “ondivaga” dei
Leverage, assieme ad una certa instabilità nella
line-up, non li hanno verosimilmente aiutati nell’emergere in maniera definitiva dal pantano del
metal melodico, nonostante un livello artistico di certo costantemente superiore alla media.
Dogmi musicali molto codificati come l’
hard-rock “classico”, il
power-metal e gli arrangiamenti sinfonici, pur facendo parte del
trademark dei finnici, nella loro parabola professionale sono sempre stati trattati con una certa “personalità”, ottenendo risultati di buon livello, tra parecchi alti e qualche flessione creativa.
In quest’ambito, possiamo considerare i Rainbow la principale “stella polare” dei nostri, un caposcuola condiviso con molte altre formazioni, ma spesso non “onorato” adeguatamente a causa di un approccio troppo scolastico.
Pecca che non riscontrerete in “
Gravity”, sesto albo di un gruppo che, dopo la prematura dipartita di
Kimmo Blom (
ah, quanto l’ho adorato negli Urban Tale …), ha trovato in
Paolo Ribaldini (Delain, Beast In Black, ex-Skiltron, … una vera “sorpresa” per chi scrive) un eccellente interprete vocale, all’altezza di una situazione sonora indirizzata innanzi tutto a chi apprezza “gente” del calibro di Brazen Abbot, Rising Force, Stratovarius e Royal Hunt.
L’ingresso della violinista
Lotta-Maria Heiskanen aggiunge un pizzico di “stravaganza” (un po’ alla maniera di un
Nikolo Kotzev …) ad un contesto espressivo che, come da consolidata tradizione dei
Leverage, appare tanto “canonico” nei tratti essenziali quanto abbastanza variegato nelle soluzioni musicali, puntando ancora una volta sull’assortimento dei temi.
I riverberi di natura
twangy delle chitarre di “
Shooting star”, sono, per esempio, un po’ “spiazzanti”, e vedere il brano svilupparsi in un evocativo e incalzante frammento sonoro
Dio-esco è piuttosto intrigante, almeno quanto lasciarsi avvolgere dal clima fosco e cinematografico di “
Tales of the night”, più ortodosso e tuttavia ben congeniato.
Meno convincente appare la sferragliante “
Hellbound train”, in cui
Ribaldini non sembra perfettamente a suo agio, cosa che non accade nell’enfasi di “
Moon of madness”, ben pilotata dal cantante italiano e impreziosita da opportuni arabeschi di violino, strumento che diventa protagonista per elargire un’aura
folk a “
Eliza”, per il resto un
anthem dai tratti teatrali piuttosto efficace.
L’influenza dell’
Arcobaleno più celebre del
Rock diventa più pressante nell’
epos magniloquente e incalzante di “
All seeing eye”, di fronte al quale tuttavia si finisce per capitolare, circostanza che si ripete, soprattutto se siete
fan degli inni
power-osi, in “
King Ghidorah” e nella
title-track conclusiva dell’opera, in cui, invece, affiorano anche brandelli della suggestiva
grandeur dei Magnum.
Anche se ammetto di preferire alcuni episodi precedenti della discografia dei
Leverage, nutro buone speranze in questa configurazione
Mark 3 della
band, auspicando che, magari con il supporto di maggiore “rodaggio”, potrà rendere ancora più “distinguibile” e vitale la propria proposta artistica … per ora “
Gravity” si rivela comunque un ascolto godibile e apprezzabile da tutti gli appassionati del genere.