Sin dal loro prima pubblicazione con
'The Hyperborean' di tre anni, i
Fer De Lance si erano quasi subito guadagnati, giustamente, la nomea di una delle band più interessanti nel panorama metal classico e doom. Non per il metal classico alla Riot City, non per i ritornelli alla Hitten, ma per un gusto melodico e decadente che riusciva a rimandare ad epoche lontane, al loro splendore e alla loro caduta, a viaggi dal sapore epico avvolti nel mistero, e di quello che sarebbe successo di lì a poco. I riferimenti erano tanti: dagli Atlantean Kodex, ai Rainbow dell'era Dio, ai Bathory del periodo 1988 - 1991, ai Manilla Road della reunion ('Voyager', per dire un titolo), fino ai nostrani Doomsword. Come sempre capita dunque, le aspettative per il successore erano tante, come anche gli interrogativi. Riproporre la stessa formula con il rischio di risultare ripetitivi e monotoni, o cercare di cambiare leggermente assumendosene tutti gli eventuali rischi? Il risultato è una via di mezzo. Con
'Fires On The Mountainside', introdotto da una copertina a dir poco stupenda, il gruppo decide di spostarsi magggiormente sulla componente folk e melodica, riducendo quela doom, riuscendo però a mantenere salda la propria identità musicale, certo cosa non da poco.
Pochi pezzi, ma grande sostanza. Anche qui, come nel debut, si conferma la voglia dei
Fer De Lance di puntare tutto, e dico tutto, sulla musica, mettendo da parte tutto il resto. Le canzoni presentano quasi tutte il giusto mix tra parti dove le chitarre emergono in maniera più prepotente, come
'The Feast Of Echoes', che suona come una scalata verso la vittoria, verosimilmente come quella rappresentata nell'artwork, faticosa, lenta e costellata da rischi, come nella prima parte, ma che alla fine saprà condurre alla conquista, rappresentata con un dolce e lento assolo finale.
'Fire & Gold', dall'altra parte, è il suo esatto contrario, dove la componente doom viene meno ed emerge prepotente quella acustica e le emozioni vanno a sommergere il tutto.
'Raven's Fly' ha dalla sua un andazzo molto più 'frenetico', passatemi il termine, sicuramente il pezzo che mette maggiormente le radici nel folk, mentre con
'Children Of The Sky And Sea' i quattro sembrano prendere in alcuni momenti ispirazione dai Visigoth, anche qui però riuscendo a tramutare il tutto in una propria reinterpretazione personale, e non in un mero copia e incolla.
'Tempest Stele' chiude con un'altro atto di amore verso ciò che, negli occhi di questi musicisti, deve suonare come un vero e proprio viaggio nell'ignoto, grazie a composizioni dal sapore quasi misterioso e indecifrabile.
Altro colpo centrato per i
Fer De Lance che, dunque, hanno dimostrato di saper cambiare pelle, non eccessivamente, mantenendo intatto il loro talento di narratori dell'ignoto e di racconti epici. Spegnete tutto il resto, e ascoltate 'Fires On The Mountainside' con il cuore (e la spada).
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