Quali sono i rischi maggiori per un gruppo che decide di passare dal riproporre (con un certo successo) i brani di un colosso del
rock ad offrire musica “originale”?
Beh, ne citerei almeno due … che, in tempi convulsi e frettolosi come i nostri, il pubblico di riferimento preferisca rivolgersi ai “classici” per evitare “sforzi” eccessivi, e poi che il
songbook della formazione in questione finisca per “parodiare” il mito che per parecchio tempo ha scelto di onorare.
Ebbene, se in merito al primo dei summenzionati pericoli, purtroppo, non è facile “intervenire” in maniera significativa, per quanto riguarda il secondo mi sento se non altro di “tranquillizzare” tutti coloro vorranno concedere una
chance d’ascolto a questo debutto eponimo dei
Double Vision.
Nata come
tribute-band dei Foreigner, l’alleanza artistica tra
Chandler Mogel (Outloud, Jeff Waters' Amerikan Kaos, Punky Meadows, ...),
Scott Duboys (ex-Warrior Soul), Scott Metaxas (ex-Prophet),
Chris Schwartz,
Paul Baccash e
Alex Lubin, evita di tentare una smaccata “contraffazione” espressiva dei loro beniamini, per tante ragioni ancora oggi inarrivabili.
Ciò non toglie che “
Double vision” attinga “pesantemente” dalla grande tradizione
adulta yankee (oltre ai Foreigner, quindi, anche Journey, REO Speedwagon, Survivor, Night Ranger, Styx, …) e che si candidi per stimolare parecchi brividi di soddisfazione nei sensi degli estimatori più “tradizionalisti” del genere.
“Gente” che non teme di finire in quella “
Prison of illusion” dove si può fantasticare che il calendario si sia fermato al 1985, e anzi è felice d’intonare il ritornello della frizzante “
No fool for love”, immaginando di vivere in un mondo (apparentemente) spensierato e gaudente.
Un universo dove i sentimenti si esprimono con “semplicità” attraverso i favolosi saliscendi vocali di “
The man you make me”, tramite le languidezze di "
Look out for me” o ancora ammantando “
A stranger's face” di una fascinosa veste sinfonica.
“
I know the way” è un altro momento dedicato agli estimatori dell’
AOR più “classico”, qui impreziosito da sfumature
rootsy, e se “
Youphoria” potrebbe scaturire da una
jam session tra Outloud e Survivor, il breve interludio strumentale “
Transient times” conduce l’astante tra le spire magniloquenti e teatrali di “
Silence is louder”, in grado di svelare le notevoli capacità dei
Double Vision anche in questo specifico campo d’azione.
Con “
Church of the open mind” e “
This day and age” la
band dimostra che suonare
cover dei Foreigner è stato utile per assimilare in maniera piuttosto efficace il loro monumentale
trademark espressivo, mentre il
groove soul n’ funky di “
Once before” aggiunge ulteriore varietà ad una scaletta che con “
Love could rule” solca le tipiche sonorità del cosiddetto
Westcoast-AOR mantenendo intatti fervore e buongusto.
“
Double vision” appare, dunque, come un assortimento variegato, competente e coinvolgente di
rock melodico nordamericano (nell’elenco succitato di numi tutelari inseriamo, quindi, anche i canadesi Boulevard, e non solo per l’uso del
sax …), di quel tipo che stimola il benessere fisiologico e riscalda il cuore … materiale per “nostalgici”? Forse … ma in ogni caso si tratta di una nostalgia tutt’altro che dozzinale e “piatta” (e per accorgersene non sono necessari gli occhialini
3d che campeggiano sulla “fantasmagorica” copertina dell’albo).