Non avrei scommesso un centesimo su un nuovo disco degli
Arcadea, eppure eccoli qui a otto anni di distanza dal
debutto e con una formazione rinnovata guidata dall’instancabile
Brann Dailor dei Mastodon.
È tutto più a fuoco rispetto al 2017, grazie a un synth rock muscolare e personale lontano dal nichilismo dei Suicide, dalla psichedelia degli Hawkwind e dalla ferocia di Carpenter Brut (
“Dark Star”). Brani un po’ Kraftwerk e un po’ Muse (penso alla titletrack) si alternano a episodi più concitati (
“Starry Messenger”, “The Hand That Holds The Milky Way”) e sinistri (
“Galactic Lighthouse”, “Sparks”).
“2 Shells” suona come una moderna
“Autobahn” adeguata ai tempi caotici che viviamo, mentre
“Silent Spores” parrebbe un omaggio a Gary Numan, alfiere del pop meno zuccheroso dei primi anni Ottanta, genere che fa bella mostra di sé anche in
“Fuzzy Planet” e nella marziale
“Lake Of Rust”.
Se
“Gilded Eye” è la traccia più progressiva di
“Exodus Of Gravity”, la conclusiva
“Planet Pounder” rappresenta il lato epico e lisergico degli
Arcadea, band apprezzabile ma dal destino ancora incerto.
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